Il demone della violenza.

(Michele Brambilla – Il Giornale) Chissà da quale profondo mistero arriva la violenza che porta cinque ragazzi a massacrare un uomo di 29 anni solo perché si è rifiutato di dar loro una sigaretta. Certo non arriva dai facili schemi con cui da un paio di giorni si cerca di spiegare l’accaduto: il fascismo, il razzismo, la Verona leghista. Sono tempi in cui la politica cerca di strumentalizzare ogni cosa, e in questo non ci sono innocenti né a sinistra né a destra. Ma davvero dovrebbero esserci dei limiti per rendere improponibili certe dichiarazioni che offendono più l’intelligenza di chi le pronuncia che quella di chi le ascolta. Un ex ministro come Paolo Ferrero ha tirato in ballo perfino la recente campagna elettorale: «I linguaggi bellici e le discriminazioni possono portare voti ma seminano odio». E purtroppo anche Veltroni, che è un uomo intelligente e solitamente misurato, è caduto nella trappola: «Siamo davanti a un’aggressione di tipo neofascista che non può e non deve essere sottovalutata».
Chiunque avesse sfogliato un po’ di fretta i giornali di ieri mattina, si sarebbe così convinto che la vittima dell’aggressione di Verona è un immigrato, oppure un gay, oppure ancora uno di sinistra. Insomma un «diverso» o un «nemico», a seconda di come titolavano i giornali. Solo chi ha avuto la pazienza di entrare nelle righe degli articoli si è accorto che l’aggredito è un italiano; un italiano di Santa Maria di Negrar, provincia di Verona; un italiano che con la politica non c’entra niente, ma proprio niente. Eppure la confusione è andata avanti tutto il giorno, anche una tv eccellente nell’informazione come Sky ha lanciato un sondaggio per chiedere agli italiani se il fatto di Verona è un segnale allarmante di una nuova «ondata di intolleranza». Ma intolleranza verso chi e che cosa? Verso chi non offre sigarette?
Molto opportunamente, invece, Lucia Annunziata ha messo insieme, su La Stampa, il fattaccio di Verona con quello di Torino, dove alcuni vigili sono stati aggrediti in pieno centro, piazza Vittorio Veneto, a poche decine di metri dalla casa del sindaco Chiamparino. Se a Verona è stata una sigaretta a scatenare la violenza, a Torino è stata una multa: chi l’ha presa ha sferrato un pugno in faccia a un vigile, è stato arrestato, ma almeno duecento persone sono intervenute in sua difesa lanciando pietre e bottiglie contro gli agenti. Sono due storie diverse: ma in comune c’è un’esplosione di violenza che pare immotivata, comunque non proporzionata alla causa scatenante. Lucia Annunziata ha avuto dunque il merito di non cadere nella semplificazione retorica dell’antifascismo, e ha colto giustamente in questi episodi il segno di un’inquietudine generale.

Ma il motivo di questa inquietudine è difficilmente afferrabile. Lucia Annunziata lo attribuisce alla rottura del patto di fiducia tra istituzioni e cittadini, e c’è senz’altro del vero. Però basta l’antipolitica a spiegare la violenza di Verona? Che è stata cieca e gratuita come quella di Arancia Meccanica? Che è stata violenza per la violenza, male per il male? Basta, o la risposta è nell’uomo, nella sua essenza più intima?
Per la prima volta nella storia, in Europa non ci sono guerre fra Stati da oltre sessant’anni; i conflitti sociali permangono, ma sono infinitamente meno gravi che in passato. Eppure l’aggressività riemerge ciclicamente. I primi ventenni senza guerra hanno dato vita al Sessantotto, e poi ai terribili anni Settanta, quasi a dimostrare che non c’è generazione che non abbia desiderio di menare le mani. La violenza rialza sempre la testa, hanno persino cancellato i soldatini e le pistole dai giocattoli dei bambini, i quali oggi smanettano con videogames di inaudita ferocia.
L’origine della violenza è all’interno di ciascuno di noi, nasce come reazione ad aspettative che vanno deluse. La cultura, l’educazione, a volte le convinzioni politiche e religiose ci frenano nella stragrande maggioranza delle situazioni. Ma da qualche parte il mostro riemerge, e a volte s’organizza in bande in cui l’ideologia – così come la fede calcistica per quanto riguarda gli ultrà – è solo un pretesto, una divisa. Non è un caso se spesso queste bande, come quella di Verona, attingono soprattutto ai simboli e alle idee che la storia ha sconfitto: la violenza ha bisogno, per nutrirsi e per alimentarsi, di rancori e di rabbia. Ecco perché nessuno crea una «Brigata Royal Air Force» o «Us Army», ma ci si rasa la testa e ci si mette una croce uncinata da qualche parte prima di ammazzare uno che non ti dà una sigaretta.

Verona, morto il giovane aggredito.

(Sky tg24) E’ deceduto nell’ospedale di Borgo Trento a Verona, dove era ricoverato in coma, Nicola Tommasoli, il giovane ridotto in fin di vita in seguito ad un pestaggio la notte del primo maggio. Sul fronte investigativo, gli inquirenti hanno tenuto una conferenza stampa in cui è stato confermato l’arresto di altri due aggressori che hanno già confessato.


Dopo i drammatici fatti di Verona, che hanno portato alla morte di un giovane picchiato da alcuni giovani di estrema destra, a SKY TG24 parla il sindaco della città, il leghista Luca Tosi.

Futuri ministri. Anche Roberto Calderoli ce lo meritiamo.

(Gennaro Carotenuto – Giornalismo partecipativo) Mi dicono che né Al Jazeera né altri media arabi abbiano dedicato un solo secondo al “caso Calderoli”, che occupa le prime pagine dei nostri giornali come se fossimo sul punto di essere attaccati dalla Libia. Le cose da dire sull’uomo del Maiale day e delle magliette islamofobe sono poche, quattro per l’esattezza, e anche molto chiare, perfino ovvie.

1) E’ divertente vedere come un paese occidentale rifiuti ad un terzo, in questo caso un paese arabo, il diritto d’ingerirsi nei fatti propri ma poi s’ingerisce quotidianamente nei fatti dei paesi arabi, per esempio presumendo di andare a costruire democrazie in Iraq o Afghanistan o stabilendo che per motivi meramente geopolitici la dittatura di Moubarak in Egitto sia una democrazia.

Se la Libia non deve dire della Lega Nord, perché noi riteniamo di avere il diritto di dire di Hezbollah?

2) E’ dubbio che l’ex quarta sponda non abbia il diritto d’ingerirsi nei fatti italiani e dire la propria su chi ci governa, non foss’altro per il genocidio della Cirenaica e altre cosucce che gli italiani non hanno piacere di ricordare. Gli abbiamo mandato Rodolfo Graziani, non possono dire la loro su Calderoli? E poi non fu Silvio Berlusconi a definire Gheddafi, “campione della libertà”? E da un “campione della libertà” non possiamo accettare neanche un consiglio?

3) E’ però evidente che deve essere politica di Stato, indipendente dalle maggioranze, quella di difendere i membri dei governi passati, presenti e futuri da ingerenze straniere. Quindi bene ha fatto D’Alema a difendere Calderoli, nonostante qualcosa strida. Con le dovute differenze, D’Alema avrebbe dovuto per esempio difendere Berlusconi quando è stato attaccato dall’Economist o altri prestigiosi (sic) media e giudicato unfit (inadatto) a governare l’Italia. Per non parlare di una certa ambasciata che sta in Via Veneto… E’ evidente che ci siano due pesi e due misure, gli anglosassoni possono ingerirsi, gli arabi no.

4) La cosa più terribile di questa vicenda è che la Libia ha ragione. Un razzista fanatico, omofobo e sessista come Roberto Calderoli (in calce alcune sue dichiarazioni) non dovrebbe fare neanche l’amministratore di condominio, figuriamoci il Ministro della Repubblica. Gli italiani hanno però perso la capacità sia di scandalizzarsi, sia di lottare contro vergogne come quella di avere Calderoli ministro.

Oramai tutto e normale in questo sciagurato paese e abbiamo bisogno che ci ricordino dalla Libia che così non è: NON E’ NORMALE AVERE CALDEROLI MINISTRO.

Il Calderoli horror show (potrebbe continuare)

«La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni… Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni».

«[Quella dei mondiali 2006] è una vittoria dell’identità italiana, di una squadra che ha schierato lombardi, napoletani, veneti e calabresi e che ha battuto una squadra, la Francia, che, per ottenere dei risultati, ha sacrificato la sua identità schierando negri, musulmani e comunisti».

«La fogna va bonificata e visto che Napoli oggi è diventata una fogna bisogna eliminare tutti i topi, con qualsiasi strumento, e non solo fingere di farlo perché magari anche i topi votano».

«Dare il voto agli extracomunitari, non mi sembra il caso, un paese civile non può fare votare dei bingo-bongo che fino a qualche anno fa stavano ancora sugli alberi».

«Andremo a Bruxelles noi padani, porteremo un po’ di saggezza della croce a quel popolo di pedofili!».

Verona e Padova, tolleranza zero? Ricordate il giudice Carnevale?

(Gennaro Carotenuto – Giornalismo partecipativo) A Verona, la città più razzista d’Italia, delle ronde e della tolleranza zero, un ragazzo veronese è in coma, massacrato di botte non da cinque egiziani o romeni, come ti aspetteresti leggendo il giornale, ma da cinque bravi ragazzi veronesi.

Gli avevano chiesto una sigaretta, lui aveva rifiutato, i cinque bravi ragazzi veronesi, parlavano in dialetto, l’hanno preso a calci e pugni fino a non poterne più e ora lotta tra la vita e la morte. La notizia, terribile, fa fatica a farsi spazio, ma pensate che show sarebbe stato se i massacratori fossero stati stranieri.

Al GR la corrispondente dal Veneto ci ha addirittura tenuto a mettere una chiosa senza senso: “un fatto di cronaca che sarebbe potuto accadere ovunque”. E chissà, magari i cinque bravi ragazzi sono di quelli che pensano (pensano?) che le ronde contro gli immigrati siano necessarie.

A Padova intanto, un cittadino marocchino incarcerato in attesa di giudizio perché accusato di aver stuprato una ragazza un anno fa, è stato scarcerato. Malissimo, vergogna! Guardo meglio, è stato scarcerato perché un testimone aveva due avvocati e solo uno dei due era stato convocato. Vizio di forma, errore, magistratura incapace o che rema contro.

Ricordo meglio, io ho memoria.

Esattamente per lo stesso motivo il famoso giudice Corrado Carnevale annullò il maxiprocesso contro la mafia nel 1987. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano lavorato dieci anni, per un processo che portò a 19 ergastoli e migliaia di anni di carcere. Tutto annullato perché uno dei due avvocati di un testimone minore, anni prima della sentenza, non aveva ricevuto una raccomandata di convocazione. Sono passati 21 anni.

Metto insieme le due notizie e penso che questo paese è irredimibile.

Verso il Giorno della Memoria. Il Colle: la Shoah fu preparata dalle leggi razziali fasciste.

Bertinotti: intolleranza contraria all’idea stessa di umanità.
Napolitano: antisemitismo ancora presente, combattiamolo.
Il capo dello Stato: non dimentichiamo gli orrori. Amato: la maggior parte degli italiani non reagì.

(Il Corriere della Sera) «Noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo mai la Shoah». E poi: «A settembre saranno passati 70 anni dalle leggi razziali emanate dal regime fascista, che di fatto prepararono l’Olocausto anche in Italia».
Si sono commossi i quattro Giusti saliti ieri al Quirinale alle parole che il presidente Giorgio Napolitano ha pronunciato con fermezza in una giornata difficile per le istituzioni, in cui l’Italia aveva deciso anche di rendere omaggio alla memoria dell’Olocausto. Ma nessuno, ieri, ha rinunciato alle iniziative come quella promossa alla Camera dei deputati, dove il presidente Fausto Bertinotti prima della rappresentazione sulla Risiera di San Sabba ha condannato i rigurgito di «razzismo e antisemitismo » e «ogni intolleranza contraria all’idea di umanità », o come la mostra al Senato su Vito Volterra e Carlo Levi, in cui Franco Marini ha voluto ricordare i due senatori «perseguitati » dal fascismo.
Ma la giornata è stata segnata soprattutto dalle parole del Quirinale contro le leggi razziali del ’38. «Non dimentichiamo — ha detto il capo dello Stato — gli orrori dell’antisemitismo, che è ancora presente in alcune dottrine e che va contrastato.
Non dimentichiamo neppure i Giusti d’Italia…». Ma non dimentichiamo neanche le leggi razziali, che spianarono la strada alla Shoah. Una «somma ingiustizia», così le ha definite il presidente delle comunità ebraiche Renzo Gattegna, contrapposta alla «superiore giustizia di coloro che violandole riaccesero un barlume di speranza ». «Amarissima, inattesa sorpresa per molti — così il ministro dell’interno Giuliano Amato — contro cui la maggior parte degli italiani non reagì come moralmente sarebbe stato giusto».
Poi il capo dello Stato ha consegnato le medaglie d’oro ad Elsa Poianella che a Portogruaro ospitò gli ebrei Falk in un sottoscala, a Virginia Brandone che nell’astigiano salvò i Luzzatti, a monsignore Beniamino Schivo che a Città di Castello salvò i Korn, a Mario Martella che a Roma nascose i Sabbadini, al notaio Elio Gallina che nel trevigiano procurò documenti falsi agli ebrei.

Domenica su Radiotre: Uomini e Profeti.
il sabato e la domenica alle 9.30 e alle 10.15.

L’omosessualita nel Terzo Reich: perche’ anche quello sterminio?
Il 27 gennaio sara`la Giornata della Memoria: una giornata sul crinale tra tragedia e speranza, per capire oggi la cause della persecuzione e la sopraffazione. L’omosessualita nel Terzo Reich: perche’ anche quello sterminio? In questa puntata le riflessioni della storica Emma Fattorini e lo scrittore Stefano Levi Della Torre.

Libri:
Massimo Consoli, Homocaust. Il nazismo e la persecuzione degli omosessuali, Kaos edizioni

Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo, Circolo Pink (a cura), 2002

Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Feltrinelli

Gianfranco Goretti, Tommaso Giartosio, La citta` e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia Fascista, Donzelli, 2006

George Mosse, Sessualità e nazionalismo, Laterza

Shoah: Giorno Della Memoria 2008, Oltre 200 Iniziative In Toscana.

“Il muro dei nomi” del Memorial della Shoah di Parigi. Su esso sono incisi i nomi dei 76.000 ebrei francesi mandati dai nazisti nei campi di concentramento tra il 1942 e il 1944 e mai più tornati.

(Adnkronos) – Si avvicina il 27 gennaio e la Toscana si appresta a celebrare in grande stile il Giorno della Memoria 2008. In tutta la regione sono stati organizzati oltre 200 eventi: rappresentazioni teatrali, incontri, proiezioni, rassegne, dibattiti, testimonianze di chi ha vissuto in prima persona quei giorni drammatici. Il clou si terra’ a Firenze, al Mandela Forum, il 28 gennaio a partire dalle ore 9: attesi piu’ di 7.000 studenti da tutta la Toscana che incontreranno testimoni della Shoah e di altri stermini del ‘900 e registi di fama internazionale. Sempre a partire dal 28 gennaio (fino al 30) in programma un convegno internazionale nell’Aula Magna dell’Universita’ di Firenze.

Mercoledi’ 16 gennaio, alle ore 13, nella sala Gonfalone a Palazzo Panciatichi (via Cavour 4) verra’ presentato il calendario con tutte le iniziative. Alla conferenza stampa parteciperanno il presidente della Giunta regionale Claudio Martini, quello del Consiglio Riccardo Nencini, l’assessore alla cultura Paolo Cocchi e il presidente del Forum per i problemi della pace e della guerra Dimitri D’Andrea.

Nel corso dell’incontro con i giornalisti sara’ presentato il manoscritto originale del documento firmato il 5 settembre a San Rossore da Vittorio Emanuele e Mussolini, uno dei provvedimenti promulgati nel 1938 nell’ambito delle famigerate ‘leggi razziali’.

Italiani brava gente? Non ora, non oggi, non sempre.

(Sabrina Bergamini – Imgpress) Saranno forse depressi, saranno antipolitici per istinto o per vocazione, saranno menefreghisti per spirito di conservazione, saranno disillusi per spirito di contestazione, saranno pavidi con i forti e forti con i deboli o alla ricerca dell’uomo forte con il sorriso stirato e pseudogiovanile che li prenda per mano sollevandoli dal peso delle decisioni e della responsabilità collettiva. Ma sono, e questo sta diventando purtroppo una certezza, anche altro: sono un po’ più razzisti, alla faccia degli “italiani brava gente” che erano (eravamo) soliti raccontarsi. Non dappertutto, non sempre, non necessariamente in maggioranza. Ma i segnali che arrivano da certe dichiarazioni e da certe cronache che rimbalzano sulle pagine nazionali raccontano di un’Italia che volge pericolosamente all’intolleranza. E così, in quel di Treviso, accade che l’amministrazione leghista sfratti la comunità musulmana in preghiera da un centro sportivo messo a disposizione da un imprenditore locale e costringa i fedeli a stendere i tappeti per la preghiera in un parcheggio, davanti a una fila di automobili in sosta e a un paio di cartelloni pubblicitari. Democrazia in salsa padano-veneta ammantata di ipocrita legalismo. Ed è solo l’ultima di una lunga serie di atti e dichiarazioni xenofobe e islamofobe di cui la Lega si sta facendo portavoce nel silenzio generale delle società civile, se è vero quanto riporta l’editoriale del giornale locale “La Tribuna” citato sulla Repubblica: “Ciò che stupisce è che pochi, pochissimi, nella cosiddetta società civile, anche di fronte alle manifestazioni più brutali e vergognose di intolleranza, fanno sentire la loro voce”. Quale futuro ha un Paese arroccato su se stesso che attacca una comunità in preghiera per il solo fatto che la preghiera non è quella di Natale? Quale futuro ha un Paese che accetta similitudini naziste contro gli immigrati, che aizza la guerra fra poveri, che vede lo straniero solo come un pericolo e che di volta in volta cerca un “nemico” da attaccare per garantirsi un facile appiglio agli istinti della pancia? C’è da chiedersi quale identità potrà mai rivendicare, o meglio di quale identità potrà truccarsi il volto un Paese che brandisce l’identità come un monolite da giocare contro tutto quello che non è compreso nei confini di un rigido standard fittizio – e dunque “fuori tutti”: italiani di colore, musulmani in blocco, gay e lesbiche e trans e “omofans”, famiglie allargate e felici, cattolici che credono nell’uguaglianza e nella fratellanza, atei devoti alla Costituzione e alla libertà di religione, puri in spirito e spiriti liberi. In tempi natalizi e alla vigilia di un nuovo anno, non basta sventolare il commento del New York Times e dividersi fra sostenitori delle italiche virtù e affossatori dello spirito d’Italia come se si trattasse di un derby di calcio in cui il tifoso non è (e non deve essere) sportivo per vocazione. Niente lamenti, né indifferenza. Ma solo la consapevolezza che troppe sono le divisioni artificiali, gli steccati e i muri e le divisioni ideologiche che stanno chiamando a nuove crociate fra un “noi” e un “loro” – dove gli altri sono, di volta in volta e a seconda del discorso, i musulmani, gli immigrati, le donne, i gay, i disoccupati, i bamboccioni, gli avversari sportivi e quelli politici. L’Italia forse non è depressa come ci raccontano. Ma non è neanche nobile come talvolta si racconta.

E’ caccia all’ebreo in Venezuela: Chavez sempre più vicino ad Ahmadinejad.

(Miriam Bolaffi – Il secondo protocollo) Ci sono molte cose che legano i due leader di Venezuela e Iran, Hugo Chavez e Mahmoud Ahmadinejad, una di queste è senza dubbio il profondo odio che hanno verso gli ebrei. Le ultime dichiarazioni del leader maximo venezuelano non lasciano infatti adito a dubbi, senza contare le azioni di polizia effettuate contro le sedi di associazioni ebree in Venezuela.

Ma andiamo con ordine: la ADL (Anti-Defamation League) ha denunciato come oltraggiose le ultime dichiarazioni del presidente Hugo Chavez che ha paragonato l’offensiva israeliana contro Hezbollah alla stregua di una azione nazista. Queste dichiarazioni seguono di pochi giorni l’irruzione della polizia nei locali della comunità ebraica a Caracas. Il timore è che Chavez stia alzando il tiro su Israele con l’intenzione di colpire gli ebrei venezuelani.

Sono centinaia infatti gli ebrei venezuelani che stanno letteralmente fuggendo dal paese, come testimoniano le organizzazioni umanitarie presenti a Miami, una scena che purtroppo ricorda altri periodi, quelli si nazisti. Gerusalemme ha richiamato il suo ambasciatore a Caracas, ufficialmente per consultazioni, ma è chiaro che l’atteggiamento verso gli ebrei del leader maximo venezuelano preoccupa non poco. Se poi ci aggiungiamo le ultime dichiarazioni che sembrano essere in configurazione antisemita e non – come si vorrebbe far credere – antisionista, la frittata è fatta.

A dire il vero la svolta antisemita di Hugo Chavez non arriva come un fulmine a ciel sereno e non ha nessuna configurazione politica, salvo il flebile apporto che la comunità ebraica venezuelana ha dato all’opposizione, un apporto che non può certo preoccupare Chavez. E’ invece vero che più di una volta il presidente venezuelano ha puntato il dito sugli ebrei, un atteggiamento che ricorda da vicino quello di Hitler nella Germania pre-olocausto.

Non nascondiamo di essere preoccupati in merito alla politica di Hugo Chavez, sempre più vicina all’Iran e ai sistemi dei Mullah, sistemi che fino ad oggi hanno portato solo morte e violazioni dei diritti per il popolo iraniano.

Invitiamo pertanto la comunità internazionale a prendere un posizione ferma in merito alle discriminazioni verso la popolazione di fede ebraica residente in Venezuela e a vigilare attentamente affinché non vi siano più atti di antisemitismo. Se necessario chiediamo che la stessa Comunità Internazionale si assuma le proprie responsabilità e faccio tutto quanto necessario affinché agli ebrei venezuelani venga garantita ogni forma di Diritto.

Riapriamo il Diario. Pochi redattori. Grandi inchieste. Un milione di investimento.

Quindicinale. Così Formenton e Deaglio vogliono rilanciare il giornale.

(Roberto di Caro – L’Espresso) Lo sanno tutte e due, Luca Formenton, l’editore, e Enrico Deaglio, il direttore, che il quindicinale è una periodicità da matti: solo un devotissimo amante va in edicola un sabato sì e uno no in cerca dell’amata rivista. In Italia si ricordano giusto il lenzuolo avanguardista ‘Quindici’, la comunista eretica ‘Nuovasocietà’ e gli ‘Albi della Rosa’ di Topolino, in Germania ‘Brigitte’ di pizzi e budini, “…ma in America, agli esordi, la ‘New York Review of books'”, chiosa Deaglio, più intrigato che intimorito dalla scommessa. Chiuso come settimanale il 7 settembre scorso dopo 11 anni di onorato servizio ma con una tiratura ridotta a 8 mila copie e un passivo 2007 di quasi 500 mila euro tutti sulle spalle di Formenton, ‘Diario’ riapre il 15 gennaio con la nuova periodicità, 25 numeri l’anno più tre o quattro speciali monografici extra e una serie di novità non da poco. Sarà in formato quadrotto, 22 per 26 centimetri, da 120 a 160 pagine, brossurato, in elegante carta da libro, concepito perché il lettore lo conservi in biblioteca anziché cestinarlo a fine lettura. La grafica? “Richiamerà quella dei grandi giornali progressisti americani fra il 1890 e il 1910”, si compiace Deaglio. “Diceva Verdi, torniamo all’antico, sarà un progresso”, parola di Formenton. Insomma una sciccheria, al costo di euro sette. A ogni numero allegheranno un poster, schema di un argomento “attraverso gli strumenti della cartografia o della pittura”: tipo i paginoni dell”Espresso colore’ anni Settanta che di un fenomeno ti raccontavano visivamente origini storiche, ascendenze culturali e stato presente.

Bene, ma dentro le pagine che cosa ci si troverà? “Le inchieste vecchia maniera, di ‘sani princìpi'”, risponde Deaglio. E siccome questo ha fatto per 11 anni, è la continuità che tiene a rimarcare. “È inutile”, aggiungono, “rincorrere un’attualità spesso fittizia: la si afferra meglio uscendone, aggirandola, commentandola. O producendola”. E citano gli exploit da 70-100 mila copie con quei numeri su memoria, berlusconeide, G8 con foto e cronache dei partecipanti; fino a ‘Quando c’era Silvio’, il film autoprodotto dalla Luben production (Luca Beppe Enrico, dove Beppe è il giornalista e documentarista Cremagnani) sui brogli alle ultime politiche, 160 mila copie vendute in quel mare pieno di insidie che è sempre stata per ‘Diario’ l’edicola: con l’unico rammarico che il traino sulle vendite del settimanale risultò minimo. Dovesse uscire oggi, Deaglio titolerebbe sul ‘dialogo di Veltroni con il Duce vecchio’, ovviamente Berlusconi. Formenton ci metterebbe un pezzo in controtendenza sulla sicurezza: “Siamo proprio certi che sia così scarsa? In Europa la criminalità comune è calata del 35 per cento”. O, di nuovo Deaglio, un carnet sulla settimana in cui, “dall’omicidio di Giovanna Reggiani ai decreti antiromeni poi caduti nel dimenticatoio, stavamo ufficialmente per diventare un paese razzista”.

Con quanti soldi, giornalisti, pubblicità si riparte? “Ci investo un milione di euro in un biennio”, risponde Formenton, “per il momento” unico proprietario di Editoriale Diario: se poi le cose andranno bene, magari la porterà nel Gruppo il Saggiatore, che Luca divide con suo fratello Mattia. Il break-even è 10 mila copie di vendita più il recupero dei 4 mila abbonati che aveva il settimanale. Redazione a ranghi ridottissimi: il direttore, Giacomo Papi, Andrea Jacchia, probabilmente altri due, e molti collaboratori, anche giovani. Il bubbone è la pubblicità: “Berlusconi ci ha tagliato le gambe”, attacca Deaglio, ma Formenton lo blocca: “Detesto i piagnistei sulla pubblicità”. Non resta che esorcizzarlo, il fantasma. A cominciare dai bilanci: “Non la contabilizzeremo preventivamente nei piani finanziari. La raccoglieremo internamente e, dichiarandolo in calce a ogni numero, servirà all’inserzionista per comprare abbonamenti e destinarli a chi vuole: ai suoi clienti, a un gruppo di carcerati, magari ai 2.800 costituendi del Pd”. Già, il Partito democratico. Alle primarie Formenton è andato a votare, ma non quella “vecchia pantegana della sinistra” (parole sue) di Deaglio. Un conto, infatti, è la memoria viva: il 15 dicembre in edicola doppio dvd con gli 11 anni di ‘Diario’ più i tre film, il 27 gennaio il numero annuale sulla memoria dell’Olocausto e il film di Cremagnani e Deaglio sul recupero dei 50 mila morti ammazzati dalla silenziosa dittatura franchista. Altro conto sono “la retorica, il linguaggio frusto di una sinistra obsoleta, immobile, e per questo assai malconcia”. A queste stantìe pantomime, il rinato ‘Diario’ non sembra intenzionato a fare sconti.

Binetti, un affare prevedibile.

(Emanuele Macaluso – Il Riformista) Spero che nessuno nel Partito democratico sia così stupido da chiedere l’espulsione di Paola Binetti la quale ha votato contro la fiducia al governo che aveva accettato un emendamento al pacchetto sicurezza, che richiama il trattato dell’Ue di Amsterdam contro le discriminazioni «fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali». La Binetti, in un’intervista al “Riformista”, aveva già detto che su questi temi, nel Pd, «se non c’è unanimità non si vota». Su queste stesse colonne misi in evidenza quell’affermazione ma nessuno del Pd, dico nessuno, replicò.

Oggi la Binetti fa valere quell’assunto. E forse su questa base il ministro Fioroni ha detto al “Corriere” che quell’emendamento «va senz’altro rimosso». E il vicepresidente del Consiglio Rutelli ieri su “Repubblica” ci ha fatto sapere che «il governo si è impegnato a cancellarlo». Anna Finocchiaro ha dichiarato che questo sarebbe un atto «mortificante». Non è difficile capire dove si va a parare. Prodi dirà che la questione sarà riproposta in un testo legislativo appropriato. E questo impegno cancellerà la mortificazione. E con le mortificazioni il tutto.