Milano, lite davanti a discoteca: un morto. Scattata la caccia all’uomo.

L’uomo, un peruviano di 42 anni, è stato ucciso da una coltellata all’addome. Ferito un suo connazionale. L’omicidio davanti la discoteca milanese ‘Rainbow’.

(Adnkronos/Ign) E ‘ finita nel sangue la lita scoppiata ieri sera all’interno della discoteca milanese ‘Rainbow’, in via Besenzanica. Un peruviano di 42 anni , Miguel Angel Buitron Pimentel, è morto per una coltellata all’addome e un suo connazionale è ricoverato in prognosi riservata.

L’episodio è avvenuto intorno alle 23.30, alla periferia della città, in zona Forze Armate. Secondo una prima ricostruzione della polizia, l’aggressore – un peruviano attualmente ricercato – era accompaganato da una donna bionda che parlava spagnolo e proprio qualche apprezzamento di troppo avrebbe causato lo scoppio della lite all’interno della discoteca. Il sudamericano e la donna sono stati accompagnati fuori dalla security ma la discussione sarebbe continuata alla chiusura del locale. L’uomo avrebbe raggiunto i due connazionali che stavano camminando verso le loro auto e li avrebbe aggrediti con un coltello.

Inutile, per il quarantaduenne ferito all’addome, la corsa in ospedale. Il peruviano è morto alle 5.30, dopo un’operazione chirurgica all’ospedale San Paolo. Migliorano invece le condizione di Morses Cipriano Cullahua Munguia, 43 anni, residente a Milano e senza regolare permesso di soggiorno. L’uomo ha ricevuto due coltellate al torace ed è ricoverato al Fatebenefratelli.

Gli investigatori sperano di poterlo interrogare al più presto. Intanto è caccia all’aggressore fuggito, insieme alla donna, a bordo di un’auto di piccola cilindrata.

GayLib Lombardia: "Sui locali notturni serve di più la sicurezza che l’allarmismo di Arcigay".

Da alcuni mesi l’amministrazione comunale di Milano ha intensificato i controlli sulla sicurezza dei locali pubblici, specialmente quelli notturni: in diversi casi sono state riscontrate irregolarità ed abusi che hanno portato alla temporanea chiusura dell’esercizio.
In più occasioni è stata anche segnalata la presenza di prostituzione e droga e poichè la sicurezza e l’ordine pubblico sono fondamentali in una società civile, GayLib Lombardia, associazione dei gay di centro-destra, approva l’azione promossa dall’Amministrazione comunale di Milano, dando per scontato che i controlli vengano estesi a tutti i locali e non solo a quelli frequentati da omosessuali.
Luca Maggioni, referente di GayLib Lombardia, in una nota ha dichiarato che “per risolvere il problema della sicurezza ci deve essere un impegno deciso anche da parte degli stessi gestori, i quali, oltre a dover garantire l’adeguatezza dei locali, dovrebbero promuovere la sicurezza denunciando le illeicità ed assumendo agenti di sicurezza privati. Recentemente ho esposto queste nostre proposte ad alcuni esercenti ed al vice-sindaco De Corato, nella speranza di trovare una sinergia volta alla sicurezza dei locali ed all’ordine pubblico”.
“In tutta franchezza – ha concluso l’esponente di GayLib – non condivido l’allarmismo di Mancuso, il presidente di Arcigay, il quale parla già di discriminazione da parte della giunta di centro-destra, tant’è vero che i controlli riguardano tutti i loali, non solo quelli gay”.

Milano. Chiuso locale gay. Mancuso: Ci perseguitano. Il vicesindaco De Corato: "È stato chiuso, sempre per problemi di sicurezza, anche l´Hollywood".

In pericolo la forza economica di sostentamento dell’Arcigay, i circoli “ricreativi” con annesse dark. Preoccupato Mancuso. Vittimismo spicciolo o concreta persecuzione? Perchè per i gay la legalità fa sempre rima con omofobia?

(Franco Vanni – La Repubblica) Musica spenta e tutti a dormire. Nella notte fra sabato e domenica un´operazione congiunta di questura e vigili ha chiuso il circolo gay Binario Uno in via Plezzo, zona Lambrate, per carenze nelle uscite di sicurezza. Negli ultimi mesi la stessa sorte era toccata ad altri locali in via Sammartini frequentati da omosessuali. Ora l´Arcigay attacca: «C´è un accanimento da parte dell´amministrazione contro di noi».

Alle 2.30 di ieri al Binario Uno fra pista da ballo e terrazza c´erano 550 persone, troppe per tre sole uscite antipanico. Ai controlli, ordinati dalla procura, hanno preso parte 60 fra agenti e tecnici dei vigili del fuoco. La chiusura coatta non è stata ancora notificata ai gestori, ma l´ipotesi che sabato prossimo al Binario Uno si torni a ballare viene ritenuta improbabile dagli investigatori. Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay, lamenta: «A Milano i controlli ai circoli si sono moltiplicati, ci sentiamo presi di mira. Se il locale non è a norma è giusto chiuderlo, ma un tale dispiegamento di forze non si giustifica». Per il vicesindaco Riccardo De Corato la questione non ha fondamento: «Stiamo facendo controlli su tutti i locali – spiega – non solo quelli gay. È stato chiuso, sempre per problemi di sicurezza, anche l´Hollywood. Bisogna preservare la sicurezza di chi va a ballare».

La settimana scorsa i gestori dei due locali gay After Line e Next Groove, entrambi in via Sammartini, hanno scritto una lettera al Comune dopo che a gennaio per loro era stata disposta la chiusura, poi tramutata in obbligo di chiudere alle 22, denunciando un «atteggiamento discriminatorio dell´amministrazione». Il vicesindaco li incontrerà entro la fine del mese, ma intanto replica: «La chiusura è stata disposta dopo decine di verbali per risse, aggressioni e spaccio in strada».

Anna, la suora ex cubista che prega ballando. Dalle discoteche al convento.

Al pattinodromo l’esibizione della religiosa, in trecento restano a bocca aperta.

(Monica De Panfilis – Il Centro) Il momento di preghiera è terminato. La suora che lo ha condotto, portando la propria testimonianza di fede, sparisce dietro l’altare. La tonaca scivola via. Il capo si scopre, giù i lunghi capelli castani. Un minuto dopo, pantaloni bianchi e tunica rossa, una bella ragazza con gli occhi scuri ed il sorriso luminoso danza a piedi nudi sul palco.
«La mia voce sale a te», dicono le note su cui volteggia armoniosa, esibendo piedi e gambe da ballerina.
Suor Anna Nobili ha 38 anni ed un passato da cubista. Ieri mattina è arrivata a Pescara per raccontare la sua conversione ai trecento giovani intervenuti alla 45esima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, ospitata al pattinodromo dei Colli.
La sua preghiera danzante interpreta così lo slogan che la diocesi di Pescara-Penne ha scelto per l’appuntamento di quest’anno, «Corro per la via del tuo amore», organizzato dalla Pastorale vocazionale di don Andrea Di Michele e dalla Pastorale giovanile guidata da don Valentino Iezzi, in collaborazione con la Corale regionale del rinnovamento dello Spirito.
I 300 giovani che guardano questa provetta ballerina stentano a credere ai propri occhi: via gli arredi sacri, una fila di fiori bianchi e fucsia fa da scenografia all’esibizione che lascia tutti a bocca aperta, ammirati ed estasiati. Suor Anna la danza ce l’ha nel sangue, e non perché si dimenava sui cubi a ritmo di musica. Anna ha studiato danza ed ha lavorato come ballerina in diversi programmi televisivi. La passione per il ballo che continua a coltivare oggi arriva da qui.
La danza è rimasta una costante della sua vita. Ad essere cambiati sono i messaggi che lanciano i movimenti armoniosi del suo corpo. Sublimati dall’atto finale della sua esibizione: sopra la tunica rossa e i pantaloni bianchi, che non le nascondono le gambe allenate, suor Anna infila una tonaca bianca, simile alle vesti battesimali di un tempo. Questa veste è il segno dell’incontro con il Signore, spiegherà poi ai giovani pronti ad applaudirla.
E’ in questo modo che la suora che per anni ha animato i balli sfrenati delle discoteche italiane gira l’Italia per raccontare la fede e annunciare Dio ai ragazzi: con il linguaggio del corpo, che loro conoscono.
Sono passati quasi quindici anni da quando questa bella ragazza lombarda ha smesso minigonne, bustini e tacchi alti ed è scesa dai cubi. Una vita sregolata, all’insegna degli eccessi. Alla quale Anna, 23enne, mette il punto finale durante un incontro di preghiera, a cui prende parte dopo che la madre l’ha avvicinata alla fede. Lì cambia tutto: a quella di ragazza-immagine nei templi del divertimento notturno, subentra un’altra identità. Anna diventa una suora della Congregazione delle Operaie della Famiglia di Nazareth. E comincia a incontrare i giovani d’Italia. Lascia il Nord e si trasferisce nella comunità di Palestrina, dove oggi si dedica alle sue attività di religiosa.

Voleva fare il pompiere. «Ballo sul cubo nelle discoteche gay»

L’olandese Anton Lieven fa il ‘go-go boy’ da 10 anni. Ed è pure un attore porno. Pensare che voleva diventare un pompiere. L’intervista.

(Giò Pezza – Mentelocale) Sopra un cubo, appesi a una sbarra, in cima a delle reti tirate sopra le teste di chi sta ballando.
Possono essere personaggi fuori dal normale, bravissimi ballerini che si lanciano in performances dal serio al trash, fino a rasentare il porno. I go-go boy. Anton Lieven è un ventottenne di Rotterdam che da più di dieci anni è un go-go boy di professione.

Anton, ti sei svegliato una mattina con l’idea che nella vita avresti voluto fare il ragazzo immagine delle discoteche?
«No. Alle elementari volevo fare il pompiere».

Beh, ci sei andato vicino…
«Guarda che il mio sogno l’ho realizzato veramente: ho vestito i panni del pompiere almeno una decina di volte. E pure in un porno. Da bambino certo non immaginavo che mi piaceva solo per la tuta. E per i colleghi».

Quando hai avuto la tua chiamata?
«Abbastanza presto. Avevo 15 anni quando ho cominciato a frequentare i locali gay di Rotterdam e dintorni. Da lì a fare un po’ di amicizie e ottenere passaggi fino ad Amsterdam c’è voluto poco. Guardavo un po’ come si muovevano gli altri e facevo di testa mia. Ero un po’ il coglione della situazione: mi levavo la maglietta e mi gettavo sempre al centro dell’attenzione. Amo ballare da sempre. E la mamma mi ha dato un fisico non da ridere. Una sera in una discoteca di Amsterdam ho fatto amicizia con un go-go boy. Cioè. Non era proprio amicizia, ma diciamo che nella sua pausa ci siamo divertiti abbastanza…».

Ti ricordo che ci leggono in Italia. E dopo che è successo?
«Abbiamo un po’ parlato e mi ha detto che di fisico c’ero e che non ballavo male. Dentro di me gongolavo! Ho cominciato in quella stessa discoteca e in due mesetti hanno iniziato a pagarmi. Da lì in poi mi hanno chiamato in giro per far serate sempre più lontano. Amsterdam, Gent, Colonia, Berlino, Lille, Nantes, Parigi, Lione, Londra, Barcellona, Copenaghen…».

Un po’ come giocare a Risiko. E con tutta questa esperienza ne avrai viste abbastanza per raccontarci cosa vuol dire essere un go-go boy.
«Anzitutto ce n’è di tanti tipi. Dipende dalle serate, che vanno a generi musicali. Commerciale, techno ed elettronica, house, punk, disco. C’è un po’ di tutto. Si sa per esempio che in Italia le serate e i locali gay sono più standardizzati: per esempio c’è più commerciale, più house e pochissima techno-elettronica, quasi zero punk. Io faccio un po’ di tutto, perché mi piace muovermi: ballare è la base. Nel mio cuore ho un’anima più techno-elettronica e questo influisce un po’ sull’atteggiamento».

Atteggiamento tuo?
«Sì, di chi vive la serata. Quelli che si fanno tutte le commercialate in genere sono le fighette tiratissime, uomini fashion tirati a lucido che vestono i panni della divinità che sta lassù in alto. Ma questo anche perché c’è gente di un po’ tutti i tipi che va a ballare musica commerciale, ed è anche ritrovo dei modaioli. Le serate più “diverse” sono invece quelle dove riesco a dare il meglio: si fanno coreografie e si entra più nel personaggio».

Tipo? Ci fai un esempio?
«Beh, all’inaugurazione di Rapido [serata techno-elettronica in giro per il nord Europa, n.d.r.] ad esempio c’era un grande palco circolare, tutto intorno alla pista da ballo. Abbiamo inscenato a più riprese una specie di corte dei miracoli con personaggi stile Tim Burton (ma più fetish e sanguinolenti). È anche vero che c’erano performance di scarificazioni ed altro a far da atmosfera (quelle ovviamente i go-go boy non le fanno). Eh eh eh! Una serata per famiglie insomma! No, beh, mica sempre cose crude. A volte faccio anche l’omino cosparso di olio e gli occhiali da sole che mostra i tatuaggi con arroganza!»

Bene. Ma il go-go boy… scusami il termine, ma molti lo considerano un po’ un “puttano”.
«Io non faccio sesso a pagamento. E se balli, balli e stop. Tutti i locali hanno i buttafuori e un servizio di sicurezza che impedisce a chiunque anche solo di sfiorarti. Non è un lavoro facile. Posso capire che molti abbiano pregiudizi, ma dipende sempre a che livello lo fai. Nei locali seri, si fanno tante prove, si comincia a lavorare a volte anche prima di mezzanotte e si finisce tranquillamente anche per le 10.00/11.00 del mattino dopo. Dipende dove sei. Comunque devi avere una grande resistenza per mantenere le energie per anche dodici ore filate. Si fanno pause, certo, ma non tutti sono in grado di mantenere il personaggio in un posto pieno di gente con musica assordante».

Certo, ma non è lavorando in discoteca che hai iniziato a fare l’attore porno?
«Sì, però quello è un altro lavoro che non c’entra niente. Un paio di conoscenze e via. So che per la gente “normale” le due cose possono essere facilmente messe insieme, ma recitare in film porno è una cosa per la quale potevo tranquillamente non essere tagliato. Poi ok: se metti insieme l’esercizio, il fisico e… eh eh eh…».

I tatuaggi. Sì… Ma dimmi: che rapporto hai quindi col sesso? Recentemente è stato sollevato lo scandalo in Inghilterra contro una nota casa di produzione di porno gay per la mancanza di controlli del test HIV sui propri attori e alcuni son rimasti infettati: cosa ne pensi?
«I controlli sono alla base. E questo non perché siamo gay, visto che ancora al mondo c’è qualcuno che associa le parole “gay” e “aids” con grande disinvoltura. La prevenzione è importantissima, non solo per l’HIV ma per un sacco di altre malattie. Una delle cose più importanti è dare il buon esempio ai più giovani. Io e altri colleghi abbiamo fatto molte campagne per la prevenzione e continueremo a farne. Il sesso è bello farlo e fa bene: per questo bisogna parlarne con naturalezza, spontaneità, come faresti al supermercato chiedendoti se un fustino di detersivo è meglio di un altro. Chi poi chi si scandalizza a sapere che la gente scopa? Scopiamo tutti: chi lo fa meglio, chi di più, chi si diverte. Chi non lo fa è per sua scelta o per problemi suoi».

Se tu avessi un figlio lo lasceresti fare il go-go boy se volesse?
«I figli decidono per se stessi. Go-go boy a volte si nasce: uno ce lo può avere nel sangue, basta che entri in discoteca e balli. Il problema è come balli, come sei, quanto carisma hai».

Un consiglio ai discotecari.
«Non imitate le mosse degli altri. Guardate, imparate e poi personalizzate: il ballo è una cosa tua, se sei te stesso quando balli vinci troppi punti in più rispetto a tutti quei ridicoli imbecilli che credono di essere delle dive. Se poi uno ci mette ogni tanto anche dell’autoironia è da sposare».

Roma. Incendio del "Coming Out". E’ dolo? Le foto.

Stanotte è stato incendiato il Coming Out, locale gay in via San Giovanni in Laterano, nei pressi del Colosseo. Il danno è stato notato stamattina dai proprietari. Non tutto il locale è stato danneggiato, ma solamente una parte (da quello che ho capito, si tratta dell’area a ridosso delle serrande). Indagini sono in corso da parte delle forze dell’ordine. L’ArciGay ipotizza la matrice dolosa, e preannuncia per venerdì alle 22.30 un sit-in. “È un gesto orribile che ci sconvolge ma non ci spaventa – dice Arcigay Roma – colpire il Coming Out, che è tra i luoghi simbolo per la comunità gay romana e cuore della Gay Street di via di San Giovanni in Laterano, vuol dire ostacolare la visibilità delle persone lesbiche, gay e trans, costringendoci all’anonimato e al silenzio. Da tempo abbiamo denunciato azioni omofobe contro la gaystreet”.

Gli incendi ai locali sono sempre un bruttissimo segnale.

(Agi) Incendio nella notte, probabilmente doloso, al locale ‘Coming Out’, storico punto di ritrovo della comunita’ gay di Roma.

E’ la denuncia dell’Arcigay romana, secondo cui l’episodio “e’ un gesto orribile che ci sconvolge ma non ci spaventa.

Colpire il Coming Out, che e’ tra i luoghi simbolo per la comunita’ gay romana e cuore della Gay Street di via di San Giovanni in Laterano, vuol dire ostacolare la visibilita’ delle persone lesbiche, gay e trans, costringendoci all’anonimato e al silenzio,da tempo abbiamo denunciato azioni omofobe contro la GayStreet, la strada in prossimita’ del Colosseo dove da anni si radunano migliaia di Lesbiche Gay”.

Non e’ il primo segnale intimidatorio, ricorda Fabrizio Marrazzo, presidente Arcigay Roma: tuttavia, “la GayStreet di Roma e’ diventata un simbolo di civilta’ e contatto tra la citta’ e la nostra comunita’, non ci faremo impaurire da tali azioni e chiediamo il supporto della Polizia e delle autorita’ locali per garantire la sicurezza dei nostri locali e dei cittadini lesbiche, gay e non solo che frequentano tale strada”.

Venerdi’ 22 alle 22.30 e’ stata promosso da Arcigay un sit-in di protesta. Solidarieta’ ad Arcigay viene espressa da Giulia Rodano, assessore regionale alla Cultura, secondo la quale “se le indagini confermeranno la matrice dolosa di quanto accaduto, l’incendio del locale coming-out rappresenta l’ennesimo campanello d’allarme di quell’attacco ai diritti individuali e al rispetto democratico delle diversita’ che sta contrassegnando, purtroppo, il clima sociale e politico degli ultimi mesi“, e dal consigliere regionale del Pd Enzo Foschi,che annuncia la sua adesione al sit in di venerdi’.

Sanremo 2008, in versione gay, lesbica, bisessuale, trans a Prato.

(Nove da Firenze) E’ un’azzeccatissima parodia del famigerato Festival della canzone italiana di Sanremo la festa gay lesbica bisessuale trans e non solo venerdì 15 febbraio presso Officina Giovani in piazza Macelli 4 a Prato, dalle 22, ingresso libero. Per molti anni i gay e le lesbiche italiani/e hanno cercato nella musica pop italiana brani con cui identificarsi, in cui rileggere le proprie storie. La serata è un omaggio al tentativo di gay e lesbiche di costruirsi un proprio immaginario musicale e canoro a partire da produzioni generiche, non “di nicchia”, a proiezioni a tema, una selezione di video “baracca”, di momenti di icone gay e lesbiche, dj-set, lettura del futuro con la cartomante Lucilla, mercatino, banchino di informazione libri e cultura GLBT a cura del Comitato Gay e Lesbiche Prato.

Usa, è crisi per i "santuari" della ghettizzazione. Uno ad uno chiudono i locali gay. Le cause? Internet e l’integrazione.

Uno spogliarellista si esibisce al Gay Club Splash di New York.

Welcome to Internet City.
Bar gay e pornoshop. Tower Records e Blockbuster. Uno a uno, spengono le luci. Travolti dall’impatto della Rete sulle abitudini dei consumatori. Che i loro oggetti del desiderio ora li cercano on line.

(Enrico Pedemonte – Espresso) A Boston prima ha chiuso il Napoleon Club, tradizionale ritrovo gay, nei pressi di Park Square. Poi il video bar Luxor, preferito dai giovanissimi. E poi Buddies, Chaps, Sporters, PlayLand, e almeno altri 15, simboli di un’epoca in cui i bar gay erano il punto di raccolta di persone che si ritrovavano per rivendicare insieme la propria identità e il diritto a esistere come comunità. I bar gay negli Stati Uniti stanno sparendo. Scompaiono da Boston, ma diventano mosche bianche a New York e persino a San Francisco, dove nel quartiere di Castro prospera da decenni la comunità gay più cospicua d’America. Robert David Sullivan, uno scrittore gay che ha scritto lunghe inchieste sull’argomento sul ‘Boston Globe’, sostiene che il fenomeno è irreversibile.

Perché chiudono i bar gay? Certo ha un peso il fatto che gli omosessuali siano sempre più integrati nella vita collettiva. Ma la causa principale è un’altra: Internet. I giovani omosessuali non hanno più bisogno di sedersi al bancone di un bar per riconoscersi, né di andare nei bagni pubblici o nelle saune per incontrarsi. Oggi si cercano sulle pagine di Facebook o di MySpace, si scambiano messaggini attraverso le finestre di Messenger, continuano a parlarsi sugli schermi di Skype, dove grazie alla webcam ci si può anche guardare in faccia e verificare più a fondo se c’è la voglia di approfondire il rapporto.

Ma i bar gay non sono l’unica mutazione indotta da Internet nelle città americane. Una dozzina di anni dopo essere diventata uno strumento di comunicazione di massa, la grande rete comincia a cambiare non solo le abitudini sociali e il mondo del lavoro, ma la vita commerciale, le tipologie di negozi e la geografia stessa delle città. Alcuni cambiamenti sono visibili e certificati dalle statistiche, altri sono ancora embrionali, e si possono dedurre da piccoli segnali che emergono qua e là dalle cronache.

A New York le strade periferiche delle città, le strade tradizionalmente battute dalle prostitute per cercare clienti, sono oggi meno frequentate di ieri, perché un numero crescente di professioniste sta spostando il proprio business sul Web. Stanno a casa, sedute come impiegate davanti al computer, aspettando che qualcuno risponda alle inserzioni pubblicate su Craigslist, il servizio Internet che decine di milioni di americani usano per risolvere problemi concreti a livello locale, vendere un’auto, trovare una casa da affittare o cercare compagnia per una sera. Le prostitute si spostano in tournée da un posto all’altro, spesso affittano una stanza in un motel vicino a un aeroporto, dove è maggiore il via vai di uomini d’affari soli, mettono inserzioni su Craigslist cercando di intercettare quel particolare mercato di nicchia, fissano un pacchetto di appuntamenti e poi si spostano: altra zona, altro aeroporto, altra identità virtuale.

Richard McGuire, capo-detective impegnato nella lotta alla prostituzione nella Contea di Nassau, nell’area metropolitana di New York, dice al ‘Times’ che “Craigslist è diventato quello che negli anni Ottanta era la 42esima strada”, cioè il posto dove si va a cercare una prostituta, un filmino hard o quei prodotti particolari che un tempo si vendevano solo nei pornoshop. “Oggi la maggior parte della domanda e dell’offerta si è spostata su Internet”, dice McGuire.

Segnali che la prostituzione di strada e i pornoshop sono in calo arrivano da molte città, da Washington e Baltimora, da Dallas e Tampa, dove la polizia annuncia la creazione di reparti specializzati nella caccia alle prostitute on line perché il mercato del sesso si sta spostando dalle strade delle periferie all’autostrada elettronica, usando una metafora ormai abusata sia dai poliziotti sia dai giornalisti.

Chris Anderson, direttore di ‘Wired’, per spiegare l’impatto socio-culturale del commercio on line ha costruito la teoria della ‘long tail’, ‘la lunga coda’. L’ipotesi di Anderson è che Internet consenta l’apertura di mercati marginali che fino a ieri non sarebbero stati concepibili: la maggioranza dei libri venduti da Amazon, il gigante delle vendite on line, è costituita da volumi che nella classifica delle vendite sono oltre il 130millesimo posto, cioè da libri che non sarebbe stato possibile trovare nelle librerie per assoluta mancanza di spazio. Una delle conseguenze più ovvie della teoria di Anderson è che Internet non consente solo di aumentare l’efficienza nel distribuire molti prodotti di massa (libri di grande diffusione, computer, musica, eccetera), ma soprattutto rappresenta il trionfo dei mercati di nicchia, consentendo a ciascuno di soddisfare i propri desideri particolarissimi. E queste due tendenze, messe insieme, stanno provocando grandi cambiamenti nella geografia delle città, andando ben al di là del commercio del sesso.

Recentemente la Bbc ha pubblicato un’inchiesta sulla scomparsa dalle strade londinesi di centinaia di negozi specializzati che vendevano vecchi cd, dischi di vinile, libri rari. Un fenomeno analogo è in corso a New York. Pochi giorni fa il ‘Times’ ha segnalato la fine imminente di due storici negozi musicali di Harlem, la Bobby’s Happy House e la Harlem Record Shack, entrambi nei dintorni del celeberrimo Apollo Theatre, ed entrambi soffocati, oltre che dall’aumento degli affitti, dal calo del mercato musicale e dalla fuga dei giovani che su Internet non solo scaricano la musica gratis, ma approfondiscono a piacere le proprie preferenze. Nella stessa zona di Harlem, considerata la culla della cultura nera di New York, negli ultimi due anni hanno già chiuso altri due storici negozi musicali, Hmv e Wiz.

Più a sud, nell’Upper West Side, molti turisti vanno ancora in cerca di Tower Records, un immenso negozio di musica che fino a un anno fa sorgeva su Broadway a poche decine di metri dal Lincoln Center, il tempio della musica colta di New York. Per decenni Tower Records è stato il principale punto di attrazione dei musicofili della città, specie di quelli appassionati di musica classica. Ora non c’è più, inghiottito dalla crisi del mercato musicale. Un anno fa la chiusura dei suoi 89 negozi sparsi negli States ha fatto sensazione, perché quella chiusura ha eliminato dal panorama commerciale un punto di specializzazione che oggi può essere colmato solo andando sul Web.

A poca distanza da Tower Records, sono accadute altre cose importanti negli ultimi mesi. Sette strade più a sud è appena stato chiuso l’enorme superstore di CompUsa, uno dei più importanti punti di vendita di computer di New York. La stessa sorte hanno subito tutti i 128 negozi CompUsa sparsi negli Stati Uniti. La ragione del fallimento? Le vendite di elettronica – dai pc al software ai televisori digitali – avvengono ormai per il 40 per cento su Internet, i consumatori si sono abituati a confrontare modelli e prezzi sul Web e sempre più spesso si tengono alla larga dai negozi. La storica concorrente di CompUsa, CircuitCity, mantiene la sua postazione più a nord, sempre su Broadway all’altezza della 80esima, ma a livello nazionale è stata obbligata anch’essa a chiudere 70 grandi supermarket dell’elettronica. Ci sono città in cui questo processo ha ormai raggiunto livelli estremi. Per esempio a San Francisco, che è probabilmente la città americana dove la cultura high tech è più diffusa, è ormai raro incontrare un negozio di computer se si va in giro per la città. Comprare su Internet costa meno e la maggior parte dei consumatori usa i negozi di computer solo per le emergenze, alla stregua delle farmacie notturne, quando non si può aspettare un giorno o due per la consegna.

Risalendo su Broadway di sole tre strade si scopre che un enorme negozio di Blockbuster, che fino a pochi mesi fa affittava e vendeva film agli abitanti del quartiere, non c’è più. Anche Blockbuster sente la concorrenza di Internet, e dopo anni di supremazia nel noleggio di videocassette e Dvd, sta chiudendo centinaia di negozi. Il concorrente più temibile è Netflix, che non ha punti vendita, consente di affittare film via Internet – con un catalogo assai più vasto che copre tutti gli interessi possibili – e li fa arrivare direttamente a casa.

Anche le librerie chiudono. Non solo quelle specializzate e indipendenti che sono in calo ormai da vent’anni. Oggi persino un colosso come Border’s è stato obbligato a smantellare 300 megastore in tutti gli Stati Uniti, ed è paradossale che, per accelerare la transizione verso il mercato digitale, abbia affidato le proprie vendite su Internet all’infrastruttura di Amazon, il gigante del commercio online che è all’origine della crisi dei negozi di libri.

Una delle cose che saltano più all’occhio ai turisti europei che passeggiano nelle strade delle grandi città americane è la standardizzazione delle catene commerciali: un susseguirsi monotono di McDonald’s e Barnes & Nobles, Banana Republic e farmacie Cvs, tutte uguali, con le stesse merci disposte nello stesso modo sugli scaffali. Recentemente il giornalista Jerilou Hammett ha scritto un libro sostenendo che New York sta diventando come le tradizionali aree suburbane, una sequenza di catene commerciali senz’anima che si ripetono in modo identico in ogni quartiere. Dalle strade scompaiono i piccoli negozi alternativi, le librerie specializzate, i locali atipici. La città diventa la rappresentazione della norma. Le attività marginali e minoritarie migrano su Internet, dove gli individui possono trovare la rappresentazione dei propri gusti individuali. Ma se siete per strada e volete un espresso non avete scelta: entrate in uno degli 8.505 bar della catena Starbucks e non temete sorprese. L’espresso è uguale dappertutto, e non è granché.

Madrid. Poliziotto di giorno, cubista di notte.

«Così quasi raddoppio il mio stipendio»
La storia dell’agente Alex che sbarca il lunario tra pattuglie e discoteche.

(Elisabetta Rosapina – Il Corriere della Sera) Pochi poliziotti guadagnano bene, al mondo, e molti di più cercano di arrivare a fine mese con qualche lavoretto extra, sebbene ufficioso: Alex sbarca il lunario come cubista nelle discoteche di Madrid. Di giorno mantiene l’ordine per le strade – ironizza “El Mundo”, che pubblica le immagini dei suoi pettorali, ma non del suo volto -, di notte provoca disordini nel pubblico femminile. Quel che è certo Alex si propone come portabandiera degli agenti sottopagati, ma non nasconde che il suo secondo lavoro ha molti aspetti piacevoli. Il primo è senz’altro quello di raddoppiare quasi le sue entrate: se lo stipendio che gli passa il Ministero degli Interni spagnolo si aggira sui 1.600 euro al mese, i gestori dei locali madrileni per farlo ballare a torso nudo gliene danno altri 1.200: «Ma è vero anche – puntualizza lui – che devo investire molto nella cura del mio corpo». E non si riferisce a quello di appartenenza professionale.

Guarda il video del poliziotto-cubista

VANITA’ – Il secondo vantaggio ammette Alex, 31 anni, quando non è di pattuglia, è che i turni di notte sulla pedana e l’entusiasmo femminile lusingano la sua innegabile vanità: «Vengo da un piccolo paese, Zamora, dove la gente non esce tutte le sere, come a Madrid, e dove le discoteche sono molto diverse». Il suo noviziato, però, lo ha fatto a Ibiza, dove si balla in riva al mare 24 ore su 24 (anche se gli after hours mattutini sono stati recentemente proibiti) e dove la mise è sempre la sua preferita: senza camicia e galloni superflui. Alex è molto professionale, ha frequentato una scuola madrilena per gogò, ballerini da discoteca, ma promette di restare fedele al suo primo mestiere: «Il lavoro per strada è per tutta la vita, a 40 anni non potrò continuare a esibirmi nei locali». Ma potrà forse posare, come i suoi colleghi di Siviglia, per qualche calendario. Soltanto per beneficenza, però.

Brescia diventa capitale del piacere. Anche di quello gay.

L’effetto-movida di piazzale Arnaldo è solo la punta di un iceberg che, passando dal capoluogo, si dilata fra il Garda e la gaudente Franciacorta.

(Massimo Tedeschi – Brescia Oggi) E adesso chi lo difende più il luogo comune della Brescia sobria e austera, morigerata e sparagnina? Chi la custodisce più l’icona della città dedita solo all’etica del lavoro, dello «sgobbo», del laurà?

Brescia si rivela un insospettato luogo del loisir, una città (e una provincia) dedita alla dolce vita fra pub e live club, disco bar e crazy pizza, show window e wine bar. L’effetto-movida di piazzale Arnaldo è solo la punta di un iceberg vasto e neppure troppo sommerso, che si dilata fra la zona del Garda e la gaudente Franciacorta, passando per il capoluogo che ai cultori della socializzazione da tavolo e da bancone offre una discreta gamma di show food (ovvero ristoranti trendy e con inclinazioni spettacolari) e drinking shop (concept store dotati di bar).

La Leonessa – qui sta la sorpresa – occupa posizioni di fascia alta per numero di locali citati e qualità dei giudizi nella «Guida al piacere e al divertimento» che per l’undicesimo anno arriva in libreria per la firma di Roberto Piccinelli e i tipi delle edizioni Outline. Una «Guida Michelin» dei locali di tendenza che snocciola duemilacinquecento indirizzi in tutta Italia. Un baedeker del tempo libero che non elenca prezzi e specialità gastronomiche degli esercizi citati, ma premia a colpi di stelle (da 1 a 5) l’originalità e il servizio, il pubblico e l’atmosfera. Insomma il «clima» che si respira entrando in un locale per un happy hour, un flute di bollicine, un piatto ricercato.

I dati quantitativi, per quel che riguarda Brescia, fanno una certa impressione. Dopo l’inarrivabile Milano siamo la provincia lombarda dove ci sono più occasioni per trascorrere svegli notti e serate: i locali censiti da Piccinelli sono 37 divisi fra città (15) e provincia (22).

A parte Milano (51 locali nella metropoli, 20 nella provincia) nessuno se la spassa più e meglio dei bresciani. Bergamo si ferma a quota 29 locali segnalati, Como a 26, Cremona a 20. Più staccati tutti gli altri.

Anche la distribuzione dei locali scelti da Piccinelli è emblematica. Descrive la mappa dei locali notturni, le rotte dei perditempo, le traiettorie dello svago: 11 locali sono distribuiti fra Sebino e Franciacorta (la vera Mecca del divertimento nostrano), 15 nel capoluogo, 3 nell’hinterland e 8 nella zona del lago di Garda, tutto sommato inferiore alla storica tradizione turistica che l’accompagna.

Laureato in giurisprudenza, giornalista e scrittore, Roberto Piccinelli si definisce «uno studioso della vita sociale e in particolare della vita notturna» e, sul proprio sito Internet, si qualifica come «sociologo del piacere». Ormai è accreditato come guru della materia, profeta di una disciplina che un po’ ha contribuito a inventare.

La sua guida conferma che, anche a Brescia, la dolce vita non pulsa più nelle discoteche. Fra i 37 locali bresciani segnalati ne figurano solo sei. Ci sono il Circus Beat Club di via Dalmazia (apprezzato per le «luci ambrate e l’arredamento scenografico, fatto di contrasti cromatici»), il Sesto Senso di Desenzano (di cui la guida decanta l’accesso possibile dal pontile a lago come pure «i bagni servizievoli con panni caldi ed essenze»), il Qi di Erbusco («teatralità, tecnologia e video-proiezioni perimetrali, unite ad un imponente impatto architettonico»).

Del Red Clubbing di Manerba Piccinelli cita gli «Old School Party», di Casa De Sica a Mazzano le frequentazioni vip (Raoul Bova, Fichi d’India «e pure Taricone»). Dell’Outlimits di Paderno Franciacorta vengono evidenziati l’«effetto provocante, ma domestico» e la clientela «sostanzialmente gay». Anche qui, una nota sui bagni: «Al centro, un grande cilindro in acciaio diventa un orinatoio, diviso al suo interno da una parete in cristallo trasparente, che finisce con il mettere le persone una davanti all’altra. Inibire o disinibire? In questo caso, il bagno funge da incontro tra trasparenze…».

Queste alcune curiosità della guida, le scoperte per chi nei locali di tendenza non va, le attrattive che tengono banco fra i nottambuli. I quali, alla fine, hanno un unico dilemma: «Stasera ci vediamo… da?».