Sterzata a destra dei diesse: Il sindaco ds di Salerno: con vigili e manganelli ho cacciato loro e i cinesi.

(Fulvio Bufi – Corriere della Sera) Dice Vincenzo De Luca che «in tema di sicurezza il problema della sinistra è non aver avuto il coraggio di mettere nel proprio vocabolario parole come ordine e repressione, o un’espressione sacrosanta come principio di autorità. Se l’avesse fatto non saremmo arrivati a questo».
Lui l’ha fatto. Lui, sindaco di Salerno targato ds ma eletto con una lista propria, senza l’appoggio dei Ds e nemmeno della Margherita, ha messo la questione-sicurezza in cima alle priorità della sua amministrazione e secondo una ricerca pubblicata dal Sole 24 Ore questa politica gli valse già nei primi quattro mesi di governo (tra il giugno e il novembre 2006) un incremento di consenso tra i salernitani pari al 9 per cento.
Dopo aver dotato di manganelli i vigili urbani («in certi casi chi dovrebbe ubbidire alle loro disposizioni reagisce aggredendoli, e quindi è bene che possano difendersi al meglio»), ha reso sempre più frequenti i controlli della polizia municipale nelle zone della città dove maggiore è la presenza di attività illegali gestite da extracomunitari, dagli accampamenti abusivi ai mercatini ambulanti. Iniziative alle quali quasi sempre partecipa in prima persona.
Si è messo alla guida di ronde istituzionali, sindaco?
«Non si tratta di fare ronde ma semplicemente di far rispettare la legge».
Giovedì sera lei e i suoi vigili avete dato la caccia a prostitute romene e parcheggiatori abusivi, ieri avete sgomberato un accampamento abusivo. Non bastava la polizia municipale, era necessaria anche la sua presenza?
«Ritengo che partecipare personalmente a queste azioni sia il miglior modo per dare ai miei concittadini un segnale forte e concreto di come chi hanno scelto per rappresentarli si interessi a loro e alla città. E poi è giusto che io sia con gli uomini che debbono operare, anche per incoraggiarli».
Che risultati ha ottenuto finora con questi blitz anti-immigrati?
«Non direi che sono blitz contro gli immigrati: sono contro gli illegali».
E a cosa hanno portato?
«Per esempio dal lungomare sono sparite le decine di bancarelle che c’erano una volta. Marocchini e cinesi occupavano abusivamente tutta la strada, che adesso invece è stata restituita ai salernitani».
E che fine hanno fatto gli ambulanti?
«Quelli in regola adesso possono vendere tranquillamente in un mercato etnico che abbiamo organizzato e realizzato a spese del Comune. Per chi non è in regola, invece, qui non c’è spazio».
Con i rom come va?
«Avevano fatto un accampamento abusivo davanti all’Arechi (lo stadio della Salernitana, ndr), e li abbiamo mandati via».
Che cosa ha pensato dopo l’episodio della donna uccisa a Roma?
«Che non so se si riuscirà a evitare altre tragedie come questa».
È troppo tardi?
«Non lo so. Ma so che il finto solidarismo e il finto democraticismo fanno soltanto danni, e questa ne è la dimostrazione. La sicurezza si ottiene anche con la repressione di ciò che è illegale, imponendo l’ordine e facendo valere il principio di autorità. Ma la sinistra ha sempre avuto paura di queste parole e di questi concetti. E adesso si trova a fare i conti innanzitutto con una tragedia che poteva essere evitata, e poi con una richiesta forcaiola e razzista che non fa certamente onore al nostro Paese».

Il neonato homosexual, ecco l’ultimo spot scatena-polemiche.

(Panorama) La foto, non perfettamente a fuoco, ha in primo piano un neonato, dolcemente addormentato. Sul polso, il braccialetto di riconoscimento usato negli ospedali. Sopra però non c’è scritto il nome, Antonio o Francesca, Jessica o Andrea, ma la parola “homosexual”.
Di fianco, lo slogan: “L’orientamento sessuale non è una scelta”. Un manifesto che presto comparirà negli spot televisivi, nelle pagine pubblicitarie, su cartoline e depliant da distribuire e su manifesti da affiggere sui muri dei pubblici.
Questa la campagna-shock, destinata a far discutere, scelta dalla Regione Toscana per combattere le discriminazioni per “orientamento sessuale e identità di genere”. La campagna è sostenuta da “Ready”, la nuova Rete di Comuni, Province e Regioni italiane, che parteciperà al Festival della Creatività, in programma alla Fortezza da Basso di Firenze dal 25 al 28 ottobre prossimi.
Il manifesto è stato ceduto gratuitamente alla Regione Toscana dalla Fondazione canadese Emergence, che lo aveva utilizzato la scorsa primavera per la giornata mondiale contro l’omofobia, con il patrocinio del governo del Quebec, dell’agenzia di salute canadese e della città di Montreal.

“Si tratta di una campagna pulita, che rispetta la privacy e il buon gusto” spiega l’assessore toscano all’attuazione dello Statuto, Agostino Fragai, quasi a prevedere, e parare, le critiche. “Certo affronta con forza ed in modo efficace una delle questioni di fondo di un tema eticamente discusso, sottolineando come l’omosessualità non possa essere considerato un vizio, ma una delle tante espressioni della personalità di un individuo”.
In Italia la Toscana, ha voluto ricordare l’assessore, è da anni impegnata contro l’omofobia. La legislazione regionale è stata la prima a tutelare i cittadini contro le discriminazioni sessuali, nel 2004, e tra l’altro è stata anche la prima a predisporre una “carta prepagata” per agevolare la ricerca di un lavoro a favore di transessuali e transgender. Un impegno, quello della regione governata da Claudio Martini, riconosciuto anche da Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay: “La nuova campagna di comunicazione è assolutamente all’avanguardia nel panorama della difesa dei diritti lgbt. È ora che l’Italia si adegui alla Toscana”.

E infatti la campagna è patrocinata dal Ministero per le Pari Opportunità, retto da Barbara Pollastrini cofirmataria insieme alla collega Rosy Bindi del ddl sui Dico.
Una legge che ha diviso il Paese e la maggioranza di centro sinistra: sarà così anche per questo manifesto?

Il perbenismo a tutti i costi à come Lucio Dalla senza peli: Non esiste.

(Nausica Zocco – Img Press) “Gurdatevi alle spalle”, messaggio lanciato da Simona Ventura. Già, le spalle, ma la tranvata può arrivare in piena faccia, non per forza da dietro… Ora, diciamo subito una cosa: che certi personaggi siano coinvolti i certe brutte storie fa sorridere e non è facile ironia o sguazzare sulle sventure degli altri. È analizzare ciò che succede e convincersi che “siamo sotto il cielo” e può accadere di tutto a tutti, questa è la vita. Clemente Mastella, ministro di Grazia e Giustizia, noto per il suo colloquiare marziano, uomo di grossa mole intellettuale (forse più di panza che di testa), lui che ha avuto e ha ancora tanto da dire contro certi cambiamenti richiesti a gran voce dal popolo (diritti degli omosessuali, unioni civili, protesta di Beppe Grillo e compagnia, un esercito più che una compagnia, lui che sgranando gli occhi mentre parla, con il suo tic facciale, i capelli “sicuramente” del suo colore naturale, la panza che cresce e il sorriso stampato in viso davanti alla telecamera, insomma il Guardiasigilli si trova al centro di un caso tutto italiano, della serie “Si predica bene e si razzola male”, oppure “Fai ciò che ti dico, ma non fare ciò che faccio io”.

Clemente Mastella è indagato, anche se non c’è nulla di certo, anche se le indagini stanno facendo il loro corso, anche se tutti sono cauti nell’affermare certe cose solo con il beneficio del dubbio e si attendono gli sviluppi certi. Mastella indagato? L’ipotesi è quella del coinvolgimento del ministro della Giustizia nell’inchiesta di Catanzaro denominata Why Not. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella, risulterebbe essere stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catanzaro dallo scorso 14 ottobre, anche se ad oggi non avrebbe tuttavia ricevuto nessun avviso di garanzia. Lui si dice tranquillo, completamente estraneo alla vicenda, dato che sottolinea di non essere mai stato iscritto a nessuna loggia massonica, ne’ in Italia ne’ all’estero, e di non aver mai partecipato a comitati d’affari o a singoli affari, come testimonia la sua trentennale vita pubblica e parlamentare nella prima, nella seconda e si spera anche nella terza Repubblica. Questa la cronaca in breve di questa vicenda legale che sta coinvolgendo Clemente Mastella: i titoli dei giornali, i servizi giornalistici, la televisione, ecc., in questi giorni stanno raccontando bene l’accaduto. Il punto è uno solo: anche la colomba bianca può sporcarsi le piume. Magari sarà un errore giudiziario, magari sono solo carte confuse, forse resterà solo l’iscrizione nel registro degli indagati e si concluderà con il possibile “fuoco nella paglia”. Ma a noi pubblico pagante, gente senza grilli per la testa, noi che mostriamo più tolleranza se al mercato l’uomo vicino a noi, mentre stiamo scegliendo la frutta al bancone, si rivolge al commesso con una vocina dolce e poi si allontana sculettando, noi che davanti a Don Sante, il prete innamorato di una donna, vediamo prima d’ogni cosa l’Uomo, noi che davanti al Partito Democratico alziamo le spalle, facciamo una smorfia e concludiamo con un “si vedrà”, insomma la massa sa che un fondo di verità c’è sempre e che le due G del ministero di Mastella pesano come tutto l’alfabeto, prestandosi a diverse combinazioni: Grazia Giusta, Giustizia aGgrazziata, Grazie Giustizia!, ecc.

Si spera solo che la G di Giustizia funzioni sempre a 360 gradi senza guardare in faccia nessuno, così come è Giusto, appunto. Per la Grazia, poi, c’è sempre tempo… Solo una riflessione: in una società all’ombra di San Pietro, con le contraddizioni umane, i desideri di uomini e donne di buona volontà, con le piccole battaglie di tutti i giorni e le grandi guerre ideologiche durature, in quest’Italia a metà tra conservatori e rinnovatori, Bel Paese sempre e comunque perché alla fine è la gente la vera protagonista, anche il solo fatto del “beneficio del dubbio” nei confronti dell’impeccabile condotta di un ministro, deve far capire che tutto può succedere a questo mondo. Gli inquirenti faranno il loro lavoro. Noi ci consoliamo con L’isola dei Famosi e con una bella lezione di vita e di tolleranza che ha dato uno dei partecipanti all’edizione in corso: Cristiano Malgioglio, il personaggio eccessivo, ma non eccedente, omosessuale a testa alta, senza nascondersi mai, anche sull’isola. A distinguersi nel gruppo è stato senz’altro lui, con il suo vestiario, la sua allegria, i suoi accessori colorati. Ormai Malgioglio è fuori dall’avventura isolana ideata da Simona Ventura. L’atteggiamento dell’esuberante uomo di spettacolo e autore dei testi di cantanti famosi è stato quello di una persona ottimista e generosa, dando un contributo di ironia e allegria agli altri naufraghi. La sua preferenza per Francesco Coco è stata fin troppo evidente… Ma d’altronde dei gusti di Malgioglio nessuno ha mai dubitato. Come mai il binomio Mastella-Malgioglio? Beh: il beneficio del dubbio è la costante. Mastella ha predicato e predicato (si ricordi la sua partecipazione alla trasmissione Anno Zero riguardo i diritti degli omosessuali e le unioni civili), mostrandosi tollerante, ma rigido e giusto in nome della Legge.

Malgioglio, omosessuale sereno, è stato ed è se stesso, senza sconti alla sua identità e alla sua verità, ma lui fa parte della “categoria” analizzata quella sera durante la trasmissione Anno Zero proprio da Mastella. Il Politico quella sera sembrava non avere dubbi nel dire agli italiani che lui non è contrario alle unioni omosessuali, solo non è il caso di riconoscere gli stessi diritti degli eterosessuali, ecco tutto. Poi ha abbandonato la trasmissione. Gli omosessuali e i conviventi d’Italia, allora, oggi dovrebbero ribadire che non sono contrari a qualche errore (una volta provato, naturalmente) commesso anche da un ministro di Grazia e Giustizia, solo è il caso, magari, di riflettere su “certi pulpiti” perché la tolleranza non conosce misura e partito, ma non a senso unico. Malgioglio forever e Mastella “ballo da solo”. Magari è un accostamento azzardato, ma il “perbenismo a tutti i costi” alla lunga stanca. Prendiamola a ridere e aspettiamo che le indagini facciano il loro corso.

Partiti e web, chi naviga e chi naufraga.


(Panorama) Mentre l’antipartitismo e il movimento dei “vaffa” hanno come mezzo principe di diffusione il web, i partiti politici per lo più naufragano, si arenano o galleggiano nella Rete. Mentre ogni post sul blog grilliano si riempie di migliaia di commenti, molti dei siti di partiti neanche sanno cosa siano i commenti e l’interattività tipica del web 2.0 (molti forse faticano anche a capire cosa sia il web 2.0). È questo quello che traspare dal Monitoraggio 2007 dei portali politici svolto dall’Università di Udine (qui in pdf), guidato dal professor Francesco Pira, che già aveva svolto un’indagine simile sui portali dei ministeri italiani e dei principali esecutivi europei.

“In generale i siti sono fermi, non si è vista nessuna evoluzione sull’interattività se non addirittura qualche regressione; – afferma Pira – mancano gli strumenti di interazione vera per fare proposte e dialogare. I partiti che hanno inserito i blog in molti casi non li gestiscono in modo adeguato. Altri hanno fatto la scelta di linkare a community esterne”.
Gli unici a raggiungere ampi consensi sono i siti personali di due politici, uno di centrosinistra e uno di centrodestra: quello di Antonio Di Pietro (guarda caso uno dei pochi non invisi a Beppe Grillo e aperto a discorsi anti-casta) e quello di Antonio Palmieri, onorevole di Forza Italia, che hanno raggiunto punteggi tra l’ottimo e il buono. Il primo, che ha creato una bella community con molti commenti, brilla in qualità dei contenuti e in comunicazione interattiva; il secondo, che è stato attento a inserire il CommentAudio ed è passato al blog, ha i suoi meriti in grafica e contenuti. Si inserisce tra i due, come migliore sito di partito, il portale della Margherita, “con una community vivace e partecipativa”, si legge nei risultati del Monitoraggio.

Maglietta nera invece per Repubblicani Europei e Italia dei Valori (”tutta un’altra storia rispetto al blog, contenuti non aggiornati, organizzazione degli stessi carenti, poca interattività”), che non strappano la sufficienza e sono in fondo alla classifica. Poco meglio, con una sufficienza risicata, Lega Nord, Alleanza Nazionale, Comunisti italiani, Federazione Verdi, Sdi, Udeur. Le carenze internettiane non hanno colore politico. Senza parlare dell’Msi, addirittura non dotato di sito internet. Per Lega Nord “usabilità scarsa, contenuti sparsi in una serie di pagine web esterne al sito che costringono a un continuo andirivieni”. Il sito dei Verdi è cresciuto nei contenuti ma non nell’organizzazione, “troppi banner e bottoni”. Quello di An buono per l’archivio multimediale ma ciò che “proprio no va è l’interazione”.

E le due maggiori forze politiche italiane, Forza Italia e Ds? I due se la cavano con un buono. E con loro debutta bene anche il neonato Partito Democratico, all’interno dell’Ulivo: “molti i materiali e le risorse finalizzate al 14 ottobre; sull’interattività le gallery fotografiche e i video sono alimentati con le immagini democratiche degli utenti”. Per Forza Italia “il sito non cresce e l’interattività è un po’ a senso unico, aderisci ma non c’è uno spazio per le proposte”, ma è stato annunciato un nuovo portale. Il sito dei Ds è completamente ristrutturato, ma non ancora a regime, con il tallone d’Achille dei blog, “poco aggiornati e poco frequentati”.
Poco più della sufficienza per Radicali, Udc e Rifondazione Comunista. Almeno non dovranno vedersela con gli esami di riparazione…

Primarie: le domande della comunità GLBT, la mediocrità dei candidati.

Il parere di Elfo Bruno

Alla fine la montagna ha partorito. Se si tratta di un topolino o di un gigante di pietra ce lo può dire solo il tempo. Va da sé che considero insufficienti, seppur legittime, le domande che Gay Today ha sintetizzato per i candidati alle primarie.

Per chi non lo sapesse, l’aggregatore ha laciato la campagna “Chiedamoglielo” e i vari iscritti hanno posto i loro quesiti. Anch’io, che all’inizio consideravo la cosa largamente inutile e funzionale a dare credibilità al progetto del pd – progetto che chi ben mi conosce sa che considero di nefandezza uguale al fascismo e al berlusconismo – anch’io, dicevo, ho poi partecipato all’iniziativa ponendo i miei quesiti che si basavano, essenzialmente, sulla credibilità dei candidati sulla questione GLBT in Italia.

Sono arrivate centinaia di domande, e tutte coprivano uno spettro di argomenti che andava dal matrimonio gay – anche se io preferirei parlare di equiparazione tra coppie – all’omogenitorialità, dalla legge anti-omofobia ai diritti della componente transessuale.

La redazione ha perciò operato una sintesi dei temi più importanti e ha spedito ai candidati il nostro pacchetto di domande. Come dicevo, domande che rientrano appieno nel dibattito sui diritti di cittadinanza delle persone GLBT ma che partono dall’errore strategico di considerare Veltroni e complici degli interlocutori, piuttosto che dei nemici naturali.

Questa mia posizione può apparire grave, ma si basa in realtà sulle risposte a domande analoghe pubblicate in questi giorni e che tutti potete leggere su Repubblica on line. Lascerò perdere le valutazioni sulle risposte di Gawronsky e di Adinolfi, che si commentano da sole e che non considero degne di nota sia per la loro inconsistenza sia perché non reputo di nessun valore le loro candidature funzionali, a mio giudizio, a dare una parvenza di competizione a un gioco in cui il vincitore è già stato designato da tempo.

La vera partita, infatti, si gioca non tanto tra Veltroni e la Bindi o Letta, quanto tra il successo delle primarie – si sa che non potranno arrivare ai quattro milioni del 2005, per cui la soglia minima è stata ridotta del 75% – e l’affermazione di una delle correnti centriste che daranno il là all’intero partito democratico e che sono rappresentate rispettivamente dagli altri due candidati della Margherita.

Ma se vogliamo ritornare alle domande da fare ai signorotti del partito democratico, ci renderemo conto che le risposte sono già pronte e sembrano una sorta di passe-partout: rispondono a tutto ma non entrano nel merito di niente. Se guardiamo al sito di Repubblica, sono state posti gli stessi interrogativi di Gay Today e, se vogliamo sintetizzare anche le argomentazioni di lor signori, possiamo leggere che:

per la Bindi oltre ai DiCo non si può (e si deve) andare, sottointeso il fatto che i gay devono scordarsi la genitorialità, ché un bambino meglio che mette un piede su una mina anti-uomo in Africa piuttosto che un luogo dove può esserci rispetto e amore;

per Veltroni va garantiti i diritti delle persone che vivono all’interno delle coppie di fatto, cosa che nella logica di ogni essere umano dotato di media intelligenza non vuol dire una beneamata minchia, visto che in quanto single è la Costituzione che ci riconosce dei diritti fondamentali e che semmai bisogna intervenire sui diritti inerenti all’essere coppia;

per Letta i froci esistono, ma prima bisogna pensare alle famiglie. Possibilmente cattoliche e con figli, che guai a pensare che la donna sia altra cosa rispetto a una vagina da ingravidare.

Credo che queste risposte siano largamente mediocri, ma d’altronde basta guardare da chi sono state proferite per capire che non si può chiedere a un carciofo di essere una rosa (e men che mai a una margherita).

Qui non si tratta di capire se Veltroni & Co. siano o meno d’accordo sul decreto Bindi-Pollastrini (quest’ultima intesa sempre come dattilografa della prima all’atto di stesura della legge), bensì occorrerebbe capire due aspetti fondamentali.

La prima cosa da chiedere è se per questi candidati un cittadino, a prescidenre dalla propria omosessualità, possa e debba avere un sistema di diritti civili che includa tutta una serie di prerogative che non ammettono distinguo.

Matrimonio, adozioni, reversibilità delle pensioni e quant’altro devono essere garantiti a tutte le persone che vivono in questo paese, senza andare ad indagare cosa fanno queste tra le lenzuola. Ogni scelta che va in direzione contraria a questo assunto è, per logica conseguenza, una scelta discriminatoria.

In secondo luogo, visto che di fatto il piddì già governa e non ha ottenuto nulla su questo frangente, come esso pretende di apparire credibile agli occhi della comunità GLBT.

Queste a mio giudizio dovevano essere le uniche domande degne di esser fatte, perché cosa (non) farà il partito degli ex comunisti e degli ex democristiani sui diritti civili è noto da febbraio di quest’anno. E sinceramente, sentirsi dire da Veltroni che anche noi siamo cittadini e dalla Bindi che oltre alla sua leggina vergogna non si può andare, sono risposte che non vogliamo più sentire.
Ne va del nostro onore, e della nostra dignità di persone.






Veltroni:dimezziamo i Ministri.

La vera storia di Veltroni: era comunista ed espelleva i dissidenti.

(Luca Telese – Il Giornale) “Nel 1995 gli chiesero per la prima volta: è mai stato comunista? Walter Veltroni rispose con veemenza, spiegando che no, non lo era stato: «Non ho mai partecipato a un corso alle Frattocchie, non sono mai stato in una scuola di partito, non sono neanche andato all’estero nei Paesi socialisti». Però questo è un ricordo «sbagliato», anzi, in un avventuroso viaggio con una delegazione ufficiale della Fgci nella Germania dell’Est nell’estate del 1973, al Festival mondiale della gioventù comunista, scoccò proprio la prima scintilla dell’amore con la sua futura moglie Flavia Prisco.

Fra gli elementi più interessanti che emergono da Il piccolo principe, la biografia di Marco Damilano, Maria Grazia Gerina e Fabio Martini che esce per la Sperling & Kupfer martedì prossimo, c’è uno scavo nel passato del futuro leader dell’Ulivo. Ed è molto interessante rileggere le citazioni di quando Veltroni era un militante a tutto tondo che i tre autori hanno pescato negli archivi e nella pubblicistica degli anni ’70.

Ed è singolare quella piccola «amnesia» sulla Germania dell’Est. Ci vollero quattro anni perché, nell’ottobre del 1999, in un’intervista rilasciata ad Antonio Padellaro, Veltroni ritrovasse quella memoria smarrita: «È vero, avevo 18 anni e una compagnia molto variopinta. C’erano Marco Magnani, Ferdinando Adornato, Fabrizio Barca. Ma da allora in poi non ho più messo piede in un Paese socialista». Mai? «La prima volta che sono andato a Mosca è stato nel 1990, ma era su invito di Gorbaciov, per parlare di democrazia».

Che cosa disse in seguito Veltroni, una volta diventato leader dei Ds, è noto. Ad esempio quando alla Stampa, intervistato da Gianni Riotta, nel 1999, dichiarò: «Comunismo e libertà sono stati incompatibili. Questa è la grande tragedia dopo Auschwitz». E poi la frase che sarebbe diventata famosa: «Si poteva stare nel Pci senza essere comunisti. Era possibile, è stato così». Gli autori del libro ricordano l’irriverente risposta del Manifesto, una prima pagina con una foto giovanile di Veltroni e D’Alema accompagnata dal titolo scorticapelle: «Facevamo schifo». Ma Veltroni non molla: «Io ero un ragazzo, allora, ma consideravo Breznev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere».

Però il libro va a cercare le prove e i palinsesti di questa rielaborazione autobiografica, e trova qualche citazione interessante: ad esempio quella del 1974, quando il giovane Walter non dimenticava mai di inserire la parola socialismo anche se parlava di droga: «I giovani sognano una società più giusta e umana, quella società per noi è il socialismo». Oppure rintracciano un episodio agitato dei tempi in cui Veltroni era leader della Fgci romana, l’espulsione di un gruppo di giovani troppo «radical», Piero Galletti, Maurizio Fabretti e – niente meno – che due futuri giornalisti come Paolo Zaccagnini e Augusto Minzolini (il primo volto noto al Messaggero, il secondo retroscenista della Stampa). Galletti, nel suo ricordo, è feroce: «Veltroni arrivava con la sua borsa di pelle piena di ciclostilati, vuota di idee. Vestito da funzionario di partito, capelli pettinati, pantaloni con la riga» (è il rancore di un ex). E il ricordo di quella riunione che portò all’espulsione, non è meno agitato. I dissidenti nel loro intervento urlarono: «Il Pci vuole solo andare al potere, ha dimenticato i bisogni dei più deboli». E Minzolini aggiunse: «Non sono d’accordo con l’antifascismo, la politica estera e via disdicendo». Le conclusioni di Veltroni? «Voglio chiudere questa discussione ricordandovi che se siamo il più grande partito comunista d’Occidente non è grazie alle vostre balle, ma alla nostra capacità di fare politica».

I dissidenti furono buttati fuori dal Pci (il buonismo era ancora di là da venire…). Quello era un Veltroni che citava Lenin, Stokely Carmichael (il leader del Black Power) e poi naturalmente Marcuse. Quel Walter era simpaticamente «ribelle» e usava una prosa che ovviamente oggi in bocca a lui sembra aliena: «Compito nostro è strappare l’educazione all’influenza delle classi dominanti, emancipare culturalmente la forza lavoro». Oppure ruggiva di orgoglio, rivendicando i suoi risultati: «Non c’è nessuno che faccia più giornaletti, più ciclostilati e che scriva sui muri più dei comunisti!».

Oggi, dopo trent’anni, sarebbe ingeneroso chiedere conto di ognuna di queste frasi. Nel passaggio dal leninismo al kennedismo c’è un romanzo di formazione che queste scarne parole lasciano intuire. Forse, a partire da questo libro, anche Veltroni potrà aggiungere qualche parola per colmare la distanza fra il suo presente e il suo passato, magari proprio a partire da quella gita nella Germania di Honecker, in Coppi Strasse, dove nacque l’amore della sua vita.”






Gay: Veltroni, "riconoscere diritti alle coppie".

(Agr)- Il Corriere della Sera) Riconoscere diritti alle coppie omosessuali, anche perche’ esiste il rischio di una ondata di ‘omofobia’. Lo sostiene il sindaco di Roma e candidato alla segreteria del Pd Walter Veltroni, intervistato a ‘Radio anch’io’ sulle coppie di fatto. Veltroni, secondo il quale non si puo’ comunque accusare di ‘moralismo cattolico’ coloro che hanno una posizione diversa sul tema risponde cosi’ sulle coppie di fatto, precisa che ai ‘Dico’ preferisce la definizione che e’ stata fatta in commissione Giustizia del Senato (Contratti di unione solidale).



Napoli: Dolores Madaro: “la pasionaria laica” sempre a fianco dei gay.

(Napoli gaypress) L’Udi (Unione Donne in Italia) ha lanciato la campagna 50 e 50, affinché alle prossime elezioni venga garantita una ampia rappresentanza politica al genere femminile.
Più donne in politica
non farebbero certo danno, ma dipende da quali donne.
Lady Mastella
, ad esempio, è una “sciagura nazionale”, non come donna, ma come politico. Il suo ottuso ostracismo, alle istanze del movimento omosessuale, la rende francamente inadeguata a rappresentare i cittadini campani, allora meglio il nulla che la Mastella.
Ma per fortuna non tutte le donne, come gli uomini, sono uguali. La “sanguigna” assessora del Comune di Napoli, Dolores Madaro, ogni giorno tiene fede al principio della laicità dello stato, in un anno non è mancata ad un appuntamento: era il 30 settembre in piazza con il coordinamento Lgbt, è stata osannata dalla folla di piazza Bellini il 16 settembre, presente al fianco del movimento delle donne da sempre. Ora che tutti si apprestano a baciare l’anello del Papa, in visita a Napoli il prossimo 21 ottobre, Lei stoicamente resiste nei suoi sani principi e concede il patrocinio alla manifestazione di venerdì 5 ottobre:”Cremazione libertà di scelta e laicità dello stato” presso la sala Santa Chiara p.zza del Gesù Nuovo ore 18.30. In questa come in tante altre occasioni, contro chi intende controllare la nostra sessualità, gestire i nostri corpi, limitare il nostro diritto alla autodeterminazione, potremmo scandire in coro: “Il corpo è mio e lo gestisco io!”



Primarie alla napoletana: a Quarto si vota per Veltroni e compagni nella sede di An.

(Panorama) Democrazia e pluralità, continuano a predicare i candidati nazionali del Partito Democratico. E il messaggio, almeno in Campania, sembra essere stato preso fin troppo alla lettera: se qualche giorno fa il sindaco di Salerno, Enzo De Luca, aveva invitato gli elettori del centrodestra a recarsi alle primarie, a Quarto, a nord di Napoli, hanno fatto di meglio. Uno dei seggi che ospiteranno le lezioni del leader del nuovo partito di sinistra si terrà infatti in una sede di Alleanza Nazionale. Altro che il corteggiamento, tutto mediatico, del super favorito Walter a Veronica Lario.

Qui si fa sul serio: basta fare un salto nella sede di via Santa Maria: all’esterno campeggia il simbolo e il tabellone di Alleanza Nazionale, con tanto di fiamma tricolore targata MSI, all’interno le bandiere dell’Ulivo ed i manifesti di Veltroni, Bindi, Letta e compagni.
Una sezione “double face”, che non ha mancato di suscitare polemiche. I dirigenti locali di An sostengono di avere dismesso la sede già dal 15 settembre scorso, ma l’ex segretario di sezione, Armando Romano, a chi gli chiedeva spiegazioni, ha risposto: “Le suppellettili che stavano dentro, sono ancora del partito: ce le ho portate io. E potrei anche pensare di andare a ritirarle, prima che” conclude l’ex segretario “molti degli iscritti se ne vadano con Storace”.

A meno che, presi allo sprovvisto e considerata la comodità, gli aennini flegrei non decidano di iscriversi al nascente Pd. In quel caso, non dovranno neppure cambiare sede.