Polemiche cattoliche. Gay Baby Boom. La fabbrica dei figli per gay.

Fabbricare figli per omosessuali è un grande affare da 150mila dollari a bambino e la grande stampa borghese ne fa ampia propaganda. I diritti dei minori passano in secondo piano davanti al dio denaro e ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito.

(Kattolikamente) Il Corriere della Sera di Paolo Mieli una settimana fa ha dedicato due ampie pagine a favore dell’adozione dei bambini ai gay. La morale era che crescere con due genitori gay è meglio. In un articolo venivano sparate cifre ad effetto (Figli di gay, centomila in Italia), come ha notato un attento lettore questa cifra “sembrava indicare il numero di bambini cresciuti da coppie gay. Poi, leggendo bene, quei bambini risultano essere per la quasi totalità bambini con un genitore gay, nati in relazioni “normali” poi sfociate in divorzio. Ma ciò non offre alcuna indicazione su chi li cresca veramente”. Fonte di queste cifre era l’Arcigay.

Mancando di qualsiasi senso di autoironia, si affermava anche che il pericolo per questi bambini è la famiglia tradizionale, magari sposata in chiesa. Contro cui si deve combattere. Invece loro, i gay, che realizzano i loro sogni grazie alla fecondazione artificiale, alcune volte mettendo su delle “cooperative” di due uomini e due donne omosessuali per crescere figli, li allevano meglio. Addirittura dicono di voler tutelare i loro diritti (dei bambini) con una associazione.

Ma come funziona la fabbrica di figli per gay? L’Agenzia France Presse, in un altro pezzo di propaganda, ci descrive come una coppia omosessuale, Michael Eidelman e A.J. Vincent, ha “investito amore, tempo e 150.000 dollari” per mettere su famiglia. Ognuno dei due uomini è padre biologico di un individuo di una coppia di gemelli. Questi sono stati concepiti grazie all’acquisto degli ovuli di una donna di Washington. Portati in gravidanza da una donna dell’Ohio, i bambini sono nati a Los Angeles dove la legislazione è molto permissiva.

Per arrivare a questo risultato, i due uomini sono ricorsi a Circle Surrogacy, una agenzia del Massachussetts. Senza alcuna vergogna, il presidente di Circle Surrogacy, John Weltman, riconosce che questo “è un affare molto proficuo“. Infatti, aggiunge che “la nostra crescita in 12 anni è stata del 6.000%. Noi contiamo di raddoppiare i nostri profitti nei prossimi due anni e mezzo“. La sua agenzia ha cominciato con il 10% di clienti omosessuali, che sono ora l’80% provenienti da 29 Paesi.

Il ricorso a quest’agenzie (ne esistono diverse, in particolare Northeast Assisted Fertility Group, a Boston) costa almeno 100.000 dollari : la “madre in affitto” riceve circa 25.000 dollari e la madre biologica, che fornisce l’ovulo, tra 4.000 e 10.000 dollari, mentre il resto serve a pagare l’agenzia, le spese mediche e legali.

Si assiste così ad un vero e proprio “gay baby boom” grazie alle “madri in affitto”, che spesso sono lesbiche (il culmine della perversione). Ma l’inviato della Agezia France Presse si rallegra:

“Il gay baby boom è constatabile nei parchi come negli asili nido: famiglie composte da uno o più bambini e due padri non soprendono più a New York, dove il matrimonio omosessuale tuttavia è impossibile”.

La conclusione del pezzo è che dunque urgente legalizzare questa pratica perchè ci siano ancora più coppie che possano diventare padri comprando bambini fabbricati senza madre per centomila dollari. In una società normale questo sarebbe chiamato “crimine contro l’umanità”.

Su raitre da domenica la Raznovich "Tatami" per raccontare la società in conflitto. Nella prima puntata si parla di l’omogenitorialità.

(Apcom) Il Tatami è la tradizionale pavimentazione giapponese sul quale si svolge buona parte della vita. Sul tatami si dorme, si mangia, si combatte, si muore. E’ da questa precisa citazione alla filosofia orientale che parte il nuovo talk di costume di Raitre, ‘Tatami’ appunto, che andrà in onda da domenica 4 maggio alle 23.40 per sei puntate. A condurlo Camila Raznovich presenza gia nota al pubblico di Raitre (‘Amore criminale’, ndr) che, con questo nuovo progetto – del quale è anche autrice insieme a Stefano Coletta, Serena Bortone ed Emanuela Imparato – dice addio definitivamente ad Mtv, dove ha lavorato per 13 anni. “Una scelta precisa, oltre che anagrafica” come ha detto la Raznovich in conferenza stampa. “Ad Mtv sono nata, ma è arrivato per me il tempo di crescere, anche professionalmente”. “Tatami è un progetto ambizioso, nello studio, nella regia e nei contenuti, e ambizioso anche per me che sarò mediatrice, arbitro, giudice, intervistatrice e complice dei miei ospiti”.

In uno studio strutturato come un grande tatami dalla scenografa Trixie Zitkowwsky, il programma si suddivide in tre segmenti. Il primo segmento, recuperando l’idea del duello, presenta il confronto tra due punti di vista diversi. Argomento della prima puntata: l’omogenitorialità e il diritto degli omosessuali. A discuterne Luca Barbareschi, attore produttore e noedeputato del Pdl e Imma Battaglia, presidente dell’onlus Di’ Gay Project.

Il secondo momento, in chiave più leggera, propone un’intervista in coppia sui grandi temi della vita. Protagonisti: un volto noto accompagnato da una persona a lui cara, per questa settimana, Giovanna Mezzogiorno e l’amico Rocco Papaleo. La terza e ultima parte del programma è dedicata invece alle storie di uomini e donne comuni e delle loro scelte di vita. Il primo ospite sarà Horacio, un ragazzo argentino che, dopo aver scoperto di essere figlio di un desaparecidos, sta ripercorrendo le sue origini alla ricerca dei suoi veri familiari. “Questo incontro l’ho voluto fortemente – ha raccontato la Raznovich – perchè vengo da una famiglia (padre russo-ebreo, madre italiana, ndr) che vivendo per anni in Argentina ha sentito culturalmente il dramma dei desaparecidos”.

Un programma ambizioso ‘Tatami’ che, nell’ottica del direttore di Raitre Ruffini, “vuole percorrere il genere del talk in una chiave di lettura nouova e diversa”. “Consapevoli del rischio di banalità che si può correre – ha detto Annamaria Catricalà, capostruttura Rai – deponiamo le armi dello steccato ideologico, provando a raccontare e descrivere la realtà e la società contemporanea attraverso l’esperienza dei suoi reali protagonisti”.

Fecondazione: Scienziati e bioeticisti, improbabili bimbi "fai da te" per i gay.

(Adnkronos Salute) Bimbi fai da te per le coppie gay? “Improbabili. Così come per i single o per le coppie eterosessuali, a partire da gameti creati con cellule staminali”. A dissolvere, almeno per ora, le paure sollevate dalle potenzialità della scienza è The Hinxton Group, un consorzio internazionale di scienziati, bioeticisti e giuristi di 14 Paesi.

“Nonostante i progressi della ricerca – rivela il gruppo di super-esperti sul suo sito internet – ci vorranno almeno 20 anni prima che nei laboratori si possano ottenere facilmente gravidanze umane. Dunque lo spauracchio di bebè fai da te è immotivato, e ben oltre le possibilità degli scienziati”. Soprattutto le prospettive che più preoccupano, cioè creare sperma a partire da cellule femminili, oppure ovuli a partire da spermatozoi, “risultano uno scenario altamente improbabile”.

Inghilterra. La sanità pubblica pensa ad un rimborso per chi usa una "madre surrogato". Ammesse anche coppie gay.

(Apcom) In attesa della trasformare le cellule del midollo osseo femminile in sperma, il servizio sanitario nazionale inglese potrebbe aiutare in un altro modo le coppie infertili, erogando loro fino a 15.000 sterline, circa 20.000 euro, per ‘usufruire dei servigi’ offerti dalle madri surrogate, le cosiddette ‘madri in affitto’. Una iniziativa che andrebbe in aiuto anche delle coppie omossessuali e dei single che desiderano avere un bambino. Lo si legge sul quotidiano britannico Daily mail secondo il quale, se la proposta sarà approvata, il servizio sanitario inglese erogherà dalle 7.000 alle 15.000 sterline, oltre al rimborso dei costi della fecondazione in vitro, non come ‘pagamento’ alla madre surrogata, ma rigorosamente come ‘rimborso spese’ alle coppie etero e omosessuali che decideranno di diventare genitori in questo modo

Alla azienda sanitaria North East Essex Primary Care, che ha proposto il progetto, si è già discusso ‘ad alti livelli’ di questa eventualità, e secondo la ‘asl’ inglese altre aziende sanitarie potrebbero essere interessate a seguire questa strada, come quelle di Cambridge, Doncaster, Nottingham e Gloucestershire. Iniziativa che, per i critici, potrebbe costituire un pericoloso precedente in casi estremi, come quello di potere avere dei figli grazie alla maternità surrogata usando gli embrioni della propria moglie morta. Proprio per vagliare questi casi-limite la decisione verrà presa tra un mese, dopo ulteriori approfondimenti.

Se si considera il rimborso dei costi della fecondazione in vitro, che non sempre ha successo e deve quindi essere ripetuta al costo di 3.000 sterline ogni volta, la spesa totale si aggirerà attorno alle 30.000 sterline per coppia o single.

Inghilterra. La Camera dei Lords approva il diritto all’omogenitorialità.

La ”Human Fertilisation and Embryology Bill” propone un nuovo riconoscimento per le coppie dello stesso sesso che concepiscano atrtraverso la donazione di sperma, ovuli o embrioni.

(Lamanicatagliata.com | Pinknews.co.uk) Una legge garantirà nuovi diritti a genitori lesbiche e gay, dopo il sì della Camera dei Lords inglese. La notizia è riportata dal sito pinknews.co.uk, ed è leggibile in inglese nella sua completezza al link in alto. La ”Human Fertilisation and Embryology Bill” propone un nuovo riconoscimento per le coppie dello stesso sesso che concepiscano atrtraverso la donazione di sperma, ovuli o embrioni. Una donna che dia alla luce un bambino e che faccia parte di una ‘‘Civil partnership” verrà quindi riconosciuta, insieme alla compagna, genitore effettivo del nascituro. Stessa cosa per due uomini che concepiscano attraverso l’inseminaizone artificiale. Nonostante le ferrea opposizione di Vescovi e alcuni deputati Conservatori i voti favorevoli sono stati 164 e 93 i contrari.

Bertolini (FI), adozioni gay. Sconcertante la sentenza della Corte di Strasburgo.

(Agi) “No alle adozioni da parte dei Gay. Siamo totalmente contrari alla possibilita’ di adottare un bambino da parte di un omosessuale. Su questo delicatissimo tema, il ruolo della famiglia tradizionale, esclusivo ed incompatibile con qualsiasi alternativa, non puo’ essere in alcun modo scalfito o intaccato. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ci lascia sconcertati ed allibiti”. Parla Isabella Bertolini, di Forza Italia. “Un pronunciamento – prosegue la Bertolini – che rischia di costituire un pericoloso precedente, estensibile ed applicabile anche in altri Paesi europei. In Italia ed in Europa il vento del relativismo spira minaccioso.
Esistono ormai filoni giurisprudenziali, che riguardano argomenti di fondamentale importanza come la droga, la famiglia, l’eutanasia, che tentano di smantellare le strutture socio-culturali ed i valori su cui si basa il mondo occidentale. Per noi tutto cio’ e’ assolutamente inaccettabile.
Non a caso ci siamo strenuamente opposti all’approvazione in Italia della legislazione riguardante le unioni di fatto promossa dalla sinistra laicista al Governo. La consideriamo il primo stadio per passaggi ben piu’ gravi e pericolosi come quello sancito oggi dai giudici europei. La decisione della Corte di Strasburgo non fa altro – conclude la Bertolini – che confermare tutti i nostri timori e le nostre paure”.

Adozioni gay. Domani la Corte Europea giudica il "Caso pilota".

Ben 9 paesi europei (Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Islanda, Olanda, Norvegia, Spagna e Svezia) consentono l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.

(Asca) La Corte europea per i diritti umani di Strasburgo è chiamata domani a decidere sul ricorso presentato da un’insegnante francese lesbica alla quale e’ stato negato il permesso di adottare un bambino.
La decisione potrebbe avere delle conseguenze per tutte le coppie gay europee o singole persone omosessuali che intendono ricorrere all’adozione.
La donna, 45 anni, e’ una maestra elementare e vive dal 1990 insieme ad una psicologa. Le autorita’ francesi le hanno negato l’adozione per la mancanza in famiglia di una figura paterna e per l’ambiguita’ del ruolo che dovrebbe eventualmente ricoprire la sua partner. L’insegnante ritiene invece di aver subito una violazione dei suoi diritti e spera che la Corte europea tenga conto del fatto che attualmente ben 9 paesi europei (Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Islanda, Olanda, Norvegia, Spagna e Svezia) consentono l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.

Famiglie gay d’Italia. Il reportage di Panorama.

Sempre più coppie omosessuali desiderano un figlio, lo fanno e lo crescono. Sempre meno hanno paura di dichiararsi. Eccone alcune, con le loro storie e i loro problemi.

(Valeria Gandus – Panorama) Paola Binetti, senatrice teodem del Partito democratico, nega la fiducia al governo per non votare l’emendamento antiomofobia e Costanza Tantillo, impiegata romana, porta al nido la piccola Alice avuta dalla sua compagna Domitilla grazie all’inseminazione artificiale. Massimo D’Alema, ministro degli Esteri, afferma di non essere favorevole al matrimonio fra omosessuali e Micaela Pini, psicologa milanese, fa il bagnetto a Rebecca e Noa, nate nell’unione con Annie Saltzman, sua moglie per la legge americana.

Intanto, a Roma, mentre fa colazione con il figlio Carlo, 11 anni, Francesca Grossi legge sul giornale che a Palermo una mamma ha potuto finalmente riabbraccciare il figlio che le era stato tolto 2 anni prima dal tribunale in seguito all’accusa, da parte del marito, di essere lesbica e di fumare. A lei, per fortuna, non è successo niente di simile: il suo ex marito Luigi non solo le ha lasciato casa e figlio, ma soprassiede sul vizio del fumo e non ha nulla da obiettare alla sua relazione con Alessandra.
Ancora una volta la società cambia e la politica e la legge non se ne accorgono. Come quarant’anni fa, quando il Parlamento fingeva di non vedere le migliaia di coppie che chiedevano di potersi rifare legalmente una vita, o le migliaia di donne che la vita la rischiavano sotto i ferri delle mammane.
Si può non essere d’accordo sulle scelte personali di uomini e donne che decidono di formare una famiglia con un partner dello stesso sesso. Si può avvertire più di un brivido al pensiero di bimbi, concepiti naturalmente o artificialmente, cresciuti da due mamme o da due papà. Ma quelle persone, quei bambini esistono, e sono sempre di più. Negli Stati Uniti, dove si stima che le madri lesbiche e i padri gay siano tra i 6 e i 10 milioni, con un corollario di circa 14 milioni di bambini e ragazzi, compresi quelli concepiti in precedenti relazioni eterosessuali, il fenomeno ha un nome: «gayby boom».

In Italia i numeri sono di gran lunga inferiori, ma comunque significativi: sono migliaia i bambini e i ragazzi cresciuti da genitori gay, secondo i dati a disposizione dell’Istituto superiore di sanità addirittura circa 100 mila (la metà che in Francia) se si calcolano anche i padri e le madri che hanno riconosciuto la propria omosessualità dopo la nascita del figlio. Da una ricerca dei sociologi Marzio Barbagli e Asher Colombo emerge che il 3,4 per cento dei gay intervistati è padre mentre il 5,4 delle lesbiche è madre. Percentuali che salgono rispettivamente al 10 e al 19 per cento per gli omosessuali di età superiore ai 35 anni.

Ma la maggiore novità è il crescente numero di coppie di omosessuali che vorrebbero avere figli: il 49 per cento, secondo un sondaggio dell’americana Kaiser family foundation. E di quelle che ci riescono.
Sono soprattutto donne, lesbiche che chiedono aiuto ad amici gay o che emigrano all’estero, nelle cliniche dove si pratica l’inseminazione artificiale proibita in Italia dalla legge 40. Le (poche) coppie di omosessuali maschi con un incontenibile desiderio di paternità trasvolano invece l’oceano per affidarsi alle cure di agenzie canadesi e americane che procurano, legalmente, madri surrogate.
Dati ufficiali non ne esistono, ma Giuseppina La Delfa, presidente dell’Associazione famiglie Arcobaleno (nuclei familiari che hanno al proprio interno almeno un genitore o aspirante tale omosessuale), dice che le famiglie associate (oggi oltre 160) sono in continua crescita: «Abbiamo in media una nuova iscrizione a settimana e i bambini con due genitori omosessuali sono una sessantina».
Giuseppina e la sua compagna Raphaelle Hoedts, francesi trasferitesi 17 anni fa in Italia, in un paese della provincia di Avellino, sono fra le pioniere del nuovo corso alla maternità omosessuale. Compagne dai tempi del liceo, unite dal pacs (l’unione civile in vigore in Francia) registrato al consolato di Napoli, entrambe docenti di francese all’Università di Salerno, hanno deciso di mettere su famiglia 7 anni fa, quando avevano entrambe 37 anni. «La mamma biologica avrebbe dovuto essere Raphaelle e infatti, all’ospedale belga cui ci siamo rivolte, hanno scelto un donatore che le assomigliasse». I tentativi di fecondazioni semplici e in vitro sono stati moltissimi: «Tre anni di viaggi a Bruxelles e di aspettative deluse». Un calvario. Finché Giuseppina non ha deciso di cimentarsi al posto di Raphaelle. «E alla prima Fivet sono rimasta incinta».

La bimba, Lisa Marie, oggi ha 4 anni e mezzo e frequenta la scuola materna locale. «È una bambina felice, allegra, di buon carattere» dicono le madri. Merito della serenità familiare. Ma anche dell’accoglienza che ha avuto dalle maestre, dai compagni e dai loro genitori: «A tutti abbiamo detto sempre e soltanto la verità. E la verità paga. I pregiudizi esistono, certo. Ma quando genitori e insegnanti ci conoscono e vedono che quelle omosessuali sono famiglie come le altre, tutto scorre liscio». Anche le bambine di Micaela Pini e Annie Saltzman (Rebecca, 8 anni e Noa, 6) sono perfettamente integrate a scuola: «E pure noi» aggiunge Annie, americana da 28 anni in Italia. «Al punto che i genitori dei loro compagni ci lasciano i figli molto volentieri».
Annie e Micaela (erede quest’ultima della famiglia che a Milano ha dato due grandi ospedali, il Gaetano Pini e il Paolo Pini) per concepire le loro figlie hanno chiesto aiuto al migliore amico di Annie, l’informatico americano Lenny Feldstein, che ha donato il seme e riconosciuto le bambine. «Ho sempre desiderato avere dei figli» spiega Lenny «e quando Annie me l’ha chiesto ho accettato volentieri».
Ma perché non averli in una famiglia tradizionale, con una compagna? «Finora non mi è capitato di incontrare la donna della mia vita, mentre so che Annie e Micaela sono le mamme giuste per le mie figlie».
Il loro è un caso un po’ anomalo anche nel mondo non certo ortodosso della genitorialità omosessuale. In genere le aspiranti mamme lesbiche se non ricorrono a una banca del seme si rivolgono a un amico gay o a una coppia di omosessuali maschi con cui condividono maternità e paternità.
E l’anomalia è ancora più forte se si considera che Annie è americana e che, dall’anno scorso, è legalmente unita in matrimonio con Micaela e ha ottenuto di conseguenza tutti i diritti del caso, anche quelli di genitore: «Ci siamo sposate nel Massachusetts, l’unico stato americano che consente il marimonio e non la semplice unione civile» raccontano. In base alla legislazione dello stato, Annie avrebbe potuto adottare le bambine. «Ma non ho voluto togliere a Lenny il ruolo di padre, che svolge con amore e delicatezza. Mi fido di lui».

Come tutte le altre coppie omosessuali con figli, però, Annie e Micaela si sono tutelate con scritture private dove si afferma che la madre non biologica ha il diritto-dovere di provvedere ai bisogni morali e materiali delle figlie. Anche se, in realtà, questi contratti servono a poco: in caso di dissidio o separazione di una coppia omosessuale, per legge l’unico ad avere diritti e doveri è il genitore biologico.
«Proprio recentemente a Milano è stata respinta dal tribunale dei minorenni la domanda presentata da una madre non biologica di vedersi riconoscere l’affidamento condiviso e il diritto di visita per i figli avuti dall’ex partner e cresciuti con lei» dice Susanna Lollini, avvocato specializzato nelle problematiche delle famiglie omosessuali. «Purtroppo la mancanza di un qualsiasi riconoscimento delle unioni gay si ripercuote sul destino dei figli. Chi sostiene che al posto dei pacs o dei dico basta un normale contratto privato sbaglia di grosso: un accordo del genere può tutelare, eventualmente, soltanto il partner ma non il genitore non biologico, oltre che i figli».
Per tutelarsi, molte coppie omosessuali cercano di ufficializzare almeno un po’ il loro rapporto iscrivendosi nello stesso stato di famiglia (la legge consente di creare una famiglia anagrafica anche tra non consanguinei) o ai registri delle unioni civili disponibili in una trentina di comuni italiani (nella Roma del sindaco Walter Veltroni e del Vaticano è appena fallita la battaglia per istituirne uno). Ma i vantaggi sono simbolici e in compenso ci sono gli oneri. Fiscali: i redditi si sommano e le tasse aumentano.
Essere genitori come gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri: questo chiedono le coppie omosessuali. Ma la società italiana è pronta ad accettare questa rivoluzione o è d’accordo con il ministro della Famiglia Rosy Bindi, quando sostiene che «il desiderio di maternità e paternità un omosessuale se lo deve scordare»? Il timore è che i figli delle coppie omosessuali paghino le scelte dei genitori con problemi psicologici e di crescita. Ma è proprio così?
Nel suo saggio, Citizen gay, appena pubblicato dal Saggiatore, lo psichiatra Vittorio Lingiardi, docente all’Università La Sapienza di Roma, cita numerosi studi che lo negano. «La ricerca scientifica disconferma queste preoccupazioni e stabilisce che i figli di genitori omosessuali sono psicologicamente sani e adattati in percentuali sovrapponibili ai figli cresciuti in famiglie eterosessuali». Fra gli studi citati nel saggio, quello del 2005 dell’American academy of pediatrics afferma che «non c’è relazione fra l’orientamento sessuale dei genitori e qualsiasi tipo di misura dell’adattamento emotivo, psicosociale e comportamentale del bambino (…). Un bambino che cresce in una famiglia con uno o due genitori gay non corrre alcun rischio specifico».

Una tesi confortata dall’esperienza diretta di Laura Pierella, da 25 anni educatrice in una scuola materna del Milanese, che ha avuto in classe tre fratellini figli di una coppia lesbica. «Bambini normalissimi» li definisce. «Sereni come le loro mamme. Non abbiamo avuto nessun tipo di problema né con loro né con i compagni. Non so se accade così anche per le altre famiglie gay, ma questa ha certamente allevato bambini felici e consapevoli di avere l’amore di due mamme».
In realtà, gli stessi genitori gay si pongono problemi sul futuro dei propri bambini per l’impatto che la loro condizione di «figli di omosessuali» potrebbe avere sulla società: «All’inizio non ci dormivo la notte: avrò fatto la cosa giusta? Soffriranno? Verranno feriti dal mondo?» si chiedeva Giuliana Beppato, milanese, 41 anni, psicologa, con Elena Mantovani, vigile urbano, mamma di tre bimbi: Federico, 8 anni, e i gemelli Sara e Joshua, 6, tutti nati con inseminazione artificiale effettuata in una clinica olandese. «Molte cose sono cambiate negli ultini anni, ma temevo che la società non fosse ancora del tutto pronta ad accogliere famiglie così diverse, avevo paura della reazione dei vicini e di quella delle mamme che mi portano i loro figli (sono terapeuta infantile). Ma mi sbagliavo, anch’io avevo dei pregiudizi: le persone spesso sono migliori di quanto crediamo e noi gay possiamo essere i peggiori nemici di noi stessi».
È un discorso che torna anche nelle parole di Delfina Esposito, 30 anni, romana trapiantata a Napoli per amore di Marta, 29, e con lei madre di Alessandro. «Lavoro alla base americana presso l’aeroporto di Capodichino: un ambiente militare, teoricamente conservatore. E invece ho incontrato solo affetto e solidarietà. Prima della nascita del bambino i colleghi mi hanno organizzato una “baby shower”, una festa di benvenuto per il nascituro secondo le loro usanze. Per non parlare dei vicini di casa, in gran parte militari della base: al ritorno dall’ospedale abbiamo trovato pacchi di regali davanti alla porta».
E le famiglie d’origine, come prendono l’arrivo di una cicogna così anomala? «Mia madre ci aveva messo un po’ ad accettare la mia omosessualità, che peraltro ho capito io stessa tardi, a trent’anni» dice Costanza Tantillo, 42 anni, mamma non biologica di Alice, 10 mesi, occhi azzurrissimi e boccoli d’oro. «L’annuncio dell’arrivo della bimba, invece, non l’ha turbata affatto: è affezionatissima a Domitilla, la mia compagna, ed è felice per la nostra felicità. Ogni sabato andiamo a pranzo da lei: ci sentiamo, e siamo, una famiglia normalissima».

Ma se è così, perché Domitilla non vuole dire il suo vero nome e come Marta, la compagna di Delfina, non accetta di farsi fotografare mostrando il volto? «Lavoro in un ufficio pubblico, i colleghi hanno una mentalità molto ristretta» dice Domitilla. «Mi sono laureata da poco in economia e cerco lavoro, non vorrei che questa maternità atipica fosse un handicap» aggiunge Marta.
Chi invece non ha mai nascosto la sua omosessualità scoperta tardi, dopo la separazione dal marito, è Francesca Grossi, informatica e membro della segreteria dell’Arcigay. Il bell’appartamento borghese a Monteverde, dove Francesca vive con il figlio Carlo, oggi undicenne, è nello stesso palazzo dove abitano le zie del bimbo, sorelle dell’ex marito, che non l’hanno abbandonata dopo la separazione ma la sostengono e sono molto presenti con il nipote. Anche l’ex marito ha un legame profondo con lei, tanto che quando viene a Roma (abita al Nord) dorme nella sua stessa casa. E tutti, a cominciare da Carlo, vanno d’accordissimo con Alessandra Filograno, addetta stampa, una lunga militanza nel Partito radicale dove è stata fra i promotori della campagna contro la pena di morte.
Carlo è orgoglioso della sua particolare famiglia: «Agli amici più sinceri ho detto che la mamma è lesbica» racconta con marcato accento romanesco. «A quelli delle elementari non gliene fregava niente». E a quelli delle medie? «Nun ce credono!».

Usa. Arriva il divorzio tra gay. Un vero rompicapo giuridico e finanziario soprattutto se di mezzo ci sono dei figli.

La causa impossibile di due “Lei”: entrambe rivendicano i figli.

(Il Corriere della Sera) Life is short, get a divorce», la vita è breve, concedetevi un divorzio, recita la pubblicità di uno studio legale di Chicago. Lo slogan correda le gigantografie di una donna supersexy in reggiseno di pizzo e di un uomo palestrato a torso nudo. Un consiglio intrigante, per una coppia eterosessuale in crisi. Ma se i due partner sono dello stesso sesso, il suggerimento rischia di rivelarsi una ricetta per il disastro. Legale, emotivo e soprattutto finanziario.

Quando il matrimonio tra la dottoressa P. e la sua compagna è andato in pezzi, i giudici del Massachusetts, lo Stato americano dove dal 2004 è possibile sposarsi tra persone dello stesso sesso, si sono trovati davanti a un caso irrisolvibile: entrambe le partner reclamavano la custodia dei due figli, avuti uno ciascuna mediante inseminazione dallo stesso donatore e poi reciprocamente adottati. Ma conoscendo la tradizionale preferenza delle corti per l’affidamento materno, entrambe le signore producevano lo stesso argomento: io sono la madre. In attesa dell’impossibile quadratura del cerchio, un magistrato ha disposto che i bambini rimangano nella casa di famiglia e che le due mamme si alternino nella custodia.

Se avesse saputo cosa l’aspettava, il quarantenne Alexander ci avrebbe pensato due volte, prima di divorziare dal suo partner col quale era riuscito a sposarsi dopo una convivenza durata quasi tre lustri. La separazione era avvenuta senza traumi ed essendo il più ricco dei due, Alexander aveva accettato di pagare gli alimenti all’ex marito. Ma se in un matrimonio eterosessuale, questi sono deducibili dal reddito ai fini fiscali, nel caso di una coppia gay il fisco non riconosce l’unione e non autorizza la detrazione. Per Alexander è stata una débâcle finanziaria. Ci sono stati quasi 10 mila matrimoni gay nel Massachusetts, dopo il via libera dato quattro anni fa dalla locale Corte Suprema.

E anche se non esistono cifre ufficiali sul numero dei divorzi, gli avvocati segnalano centinaia di casi-rompicapo giuridici e finanziari legati alle separazioni. «Il divorzio è sempre uno dei possibili esiti del matrimonio. Nel caso delle coppie gay, le complicazioni legali che ne conseguono lo trasformano in un incubo », spiega al Washington Post l’avvocato Joyce Kauffman. Proprio lei ha assistito una donna abbandonata dalla moglie, che chiedeva a quest’ultima gli alimenti per il figlio.

Ma poiché l’ex non era la madre biologica del bimbo, i giudici hanno stabilito che non aveva alcun obbligo, visto che non l’aveva neppure adottato. Per contro, secondo la legge del Massachusetts, un figlio nato da matrimonio eterosessuale, siano entrambi i partner genitori legali o naturali, è comunque figlio del matrimonio a tutti gli effetti di legge. Perfino una semplice assicurazione malattia rischia di trasformarsi in un salasso, nel caso di un divorzio gay.

Barbara J. Macy, avvocato con molte lesbiche come clienti, racconta che occorrono mesi di negoziati, soltanto per per evitare che una divisione della copertura medica comporti un addebito fiscale di migliaia di dollari l’anno per uno dei due partner: «È come se nella procedura di separazione non ci siano più due parti, ma anche una terza: lo Stato». Gli ostacoli posti dal sistema legale sono infiniti. C’è la durata del matrimonio: più dura, più i beni vengono distribuiti in modo equo. Ma i gay contestano la legge, spiegando che sono stati autorizzati a sposarsi appena quattro anni fa e dunque i loro matrimoni non possono per definizione avere avuto vita lunga. E c’è anche una legge federale, approvata nel 1996 sotto l’Amministrazione Clinton, che autorizza uno Stato a non riconoscere i matrimoni gay contratti in altri Stati.

I travestiti vanno in Paradiso, di Maurizia Paradiso.

(Booksblog) L’autobiografia di Maurizia Paradiso, “I travestiti vanno in Paradiso” (Aliberti Editore) fa venire in mente i mitici Squallor, quando nel 1980 cantavano: “c’è un dottore a Casablanca/ che ti leva quel che vuoi/ se non hai una palanca/ non andare a Casablanca“.

Maurizio Paradiso non ha mai avuto una palanca. Figlio di una prostituta diciottenne, abituato a dormire in macchina mentre mamma andava a fare le marchette, Maurizio ha vissuto un’infanza a dir poco atroce.

Una ‘via crucis’ di collegi – tutt’altro che un Paradiso – tra abusi psicologici, fisici e sessuali senza posa. Fino a quella volta in cui sua madre gli chiese di sparare alla rivale di strada, meglio nota come la Tigre.

Poi l’omosessualità si fece spazio in modo sempre più prepotente nella vita di Maurizio. Nel 1978 la decisione drammatica: cambiare sesso.

Nonostante i prodigi ironicamente cantati dagli Squallor, la medicina non aveva ancora raggiunto standard di sicurezza adeguati. L’operazione era dolorosissima, pericolosissima e costosissima. Al punto che Maurizio, per permettersela, dovette andare a battere a propria volta.

“Più che battere”, scrive, “conoscevo gente. Più che battere diventavo specializzata in psicologia. Io ho fatto un anno di questa specializzazione, per fare i soldi per il seno”.

Dopo l’intervento, si aprì per Paradiso un ulteriore calvario. Dosi massicce e dannose di ormoni, a corredo di tredici (13!) operazioni al seno.

Fanno tette a Casablanca/ peli in cachemire se li vuoi/ fanno sconti a comitive/ mo’ ci andiamo pure noi“, cantavano sempre i mitici Squallor.

Racconta invece Maurizia Paradiso nella sua autobiografia: “ho deciso di operarmi a vent’anni e a 23 l’ho fatto. Pensavo che questo avrebbe reso più facile la mia vita.

“E invece quella sofferenza non è mai sparita. Anzi, si è raddoppiata: se prima portavi la croce, con l’operazione ti viene messa la corona di spine. Nessuno dei motivi per cui mi sono operata ha a che fare con il sesso. Io non amo fare sesso…”

Ma dopo il Calvario, fu resurrezione. Maurizia Paradiso divenne in breve tempo il travestito più famoso d’Italia, grazie al trionfo nelle pionieristiche televisioni private e a “Colpo Grosso”, show cult degli anni ‘80 che arrivò a condurre dopo il celeberrimo Umberto Smaila.

Tutto ciò e molto altro è narrato nella bella biografia edita da Aliberti, “I travestiti vanno in Paradiso”, scritta da Maurizia insieme alla giornalista del Giornale Stefania Vitulli.

Si può ben prendere in considerazione questo libro per un regalo di Natale, che apra la mente e al tempo stesso lasci un bel po’ da pensare.