Calcio: Materazzi sbaglia il rigore scudetto e un tifoso interista di Pisa getta il televisore dal balcone.

(Nove da Firenze) E’ successo anche questo nella giornata dei colpi di scena. Un tifoso dell’Inter di Pisa ha buttato dalla finestra il suo televisore di 28 pollici dopo il rigore sbagliato da Materazzi durante Inter-Siena, un penalty che avrebbe regalato all’Inter il 3-2 e quindi la vittoria dello scudetto con una giornata di anticipo. Dopo l’errore del difensore nerazzurro, con la Roma tornata a -1 dalla vetta, l’uomo ha preso la sua tv e l’ha lanciata dal secondo piano di una palazzina di via San Benedetto, alla prima periferia di Pisa. Il televisore è esploso nell’aiuola condominiale. L’uomo è stato denunciato dalla polizia per lancio pericoloso di oggetti.

Comincia dall’Italia la lotta ai viaggi del sesso. Parla la ministra del Turismo brasiliano.

Marta Suplicy, ministro del Turismo

(Paolo Manzo – Panorama) Marta Suplicy, 63 anni ben portati, è una psicologa ma soprattutto una politica brasiliana importante. Membro di spicco del Partito dei Lavoratori fondato dal presidente Lula nel 1980, potrebbe essere lei la prossima sindaco di San Paolo, metropoli che ha già guidato tra il 2001 e il 2004. La sua candidatura per le elezioni d’autunno si deciderà nei prossimi giorni. Dal marzo del 2007 è ministro del Turismo del Brasile. Panorama.it l’ha intervistata per affrontare due problematiche spinose: la violenza di Rio e i viaggi del sesso, che vedono spesso coinvolti turisti italiani.

Ministro, in Italia spesso non si sceglie il Brasile come meta turistica a causa della violenza…
Oggi il mondo è un mondo violento, molte volte pericoloso. Ma tutto il mondo, mica solo il Brasile.
Non crede però che l’immagine a tinte forti che il film vincitore dell’Orso d’Oro di Berlino Tropa de Elite ha dato di Rio, per esempio, possa influenzare negativamente il flusso di turisti europei verso il Brasile?
Non abbiamo nessun dato su questo ma non penso. Il grande feed-back negativo c’è quando un turista straniero subisce una violenza.
Ma non crede che quella di Rio sia un’emergenza costante?
Rio de Janeiro non è una città molto differente dalle altre metropoli mondiali. Tutti i sondaggi dell’Embratur, il nostro Ente del turismo, ci dicono che quando uno straniero lascia il Brasile pensa che i timori per la sicurezza che aveva al suo arrivo non fossero giustificati.
Allora come mai questa percezione?
Rio occupa nell’immaginario mondiale un luogo molto privilegiato, per il suo Carnevale e le sue bellezze, per cui quando accade qualcosa qui si ha una ripercussione mediatica che normalmente in altri luoghi non si verifica. Se lo stesso episodio violento accadesse a Buenos Aires o a Lima, eventualmente uscirebbe un articolo solo nel paese d’origine del turista. Se accade a Rio invece rimbalza in genere in tutto il mondo. Sono i vantaggi e gli svantaggi di essere una “città sogno”.
Altro tema collegato al Brasile è quello del turismo sessuale: un fenomeno che in tempi recenti ha visto protagonisti anche alcuni italiani.
Facciamo attenzione a non etichettare il Brasile come un paese meta di turismo sessuale. Non lo siamo. Esistono invece alcuni epicentri, sia dal lato dell’offerta che di domanda. Uno degli epicentri dell’offerta è Fortaleza, capitale dello stato del Ceará, nel nord-est. Qui facciamo molto, soprattutto agiamo sulla prevenzione, coinvolgendo il più possibile le ragazze e i ragazzi a rischio e le loro famiglie in corsi di formazione professionali. Perché non ha senso togliere le prostitute dalla strada sic et simpliciter. Se non si dà loro un’alternativa concreta, tornano in strada il giorno dopo. È una problematica economica. È fame, gente, è fame. La formazione è l’unica via percorribile per risolvere questo problema.

La spiaggia di Copacabana

E per combattere quelli che lei definisce gli “epicentri della domanda”?
Stiamo facendo uno studio per localizzare gli agenti emissivi, ovvero i tour operator italiani e non, coinvolti in questo tipo di turismo ignobile, per porre un freno ai flussi che non vogliamo. L’obiettivo è creare barriere all’entrata.
Ministro, può essere più precisa?
Stiamo agendo in modo segreto per prendere in flagranza di reato questi operatori internazionali. L’unica informazione che posso fornirle è che ci stiamo muovendo in congiunto con altre istituzioni. Ma su questo non posso aggiungere altro.

Mostra del cinema di Venezia. A Ermanno Olmi il Leone d’Oro alla carriera.

(L’Avvenire) Ermanno Olmi il Leone d’Oro alla carriera della 65. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Lo annuncia una nota della Biennale, precisando che il premio, “che rende omaggio a un cineasta che ha lasciato un segno profondissimo nell’invenzione del cinema moderno”, è stato proposto dal Direttore della Mostra Marco Müller, ed accolto dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta. Il Leone d’Oro alla carriera sarà consegnato al regista – già vincitore a Venezia di un Leone d’Argento nel 1987 con Lunga vita alla signora e di un Leone d’Oro nel 1988 con La leggenda del santo bevitore – nella Sala Grande del Palazzo del Cinema durante il Festival (27 agosto – 6 settembre 2008).

L’Istat e "100 statistiche per il Paese".

(Sky tg24) Un’Italia più sicura ma con più paure. L’economia cresce più lentamente della media europea. La povertà preoccupa. Ci si sposa poco e si risparmia su cultura e svaghi. Questi alcuni dati del rapporto Istat “100 statistiche per il Paese”.

Alessandro Preziosi è Il Commissario De Luca, Quattro gialli firmati da Carlo Lucarelli.

commissariodeluca01.jpg(Reality & show) Quattro film (Indagine non autorizzata, Carta bianca, Estate torbida, Via delle oche), quattro indagini, quattro periodi della nostra storia. Unico legame il protagonista: il commissario Achille De Luca, poliziotto scomodo e incorruttibile, interpretato da Alessandro Preziosi. Tratti da altrettanti romanzi di Carlo Lucarelli, con la regia di Antonio Frazzi, andranno in onda da domenica in prima serata su Raiuno (e poi lunedì, domenica 4 maggio e domenica 11).

Ambientati tra Bologna e la riviera adriatica, in un arco di anni che va dal 1938 al 1948, oltre ad essere delle appassionanti storie poliziesche perfettamente costruite, costituiscono, per la esemplare ricostruzione storica e la precisa caratterizzazione dei personaggi, un efficacissimo e spietato ritratto di un’Italia destinata nel giro di una decina d’anni a cambiare profondamente. L’unica cosa che in questi racconti sicuramente non cambia è il rapporto del commissario De Luca con il potere. Troppo bravo e troppo “pulito'” per non diventare spesso molto scomodo. Scomodo durante il fascismo e scomodo dopo. Certo, il suo carattere solitario e un po’ scontroso non lo aiuta, come non lo aiuta il fatto che piacendo alle donne qualcuna a volte lo trascina nei guai.
“Alessandro Preziosi è perfetto nell’interpretazione del Commissario De Luca – ha raccontato a Tv Sorrisi & Canzoni Carlo Lucarelli, il prolifico autore di gialli e noir – Non conoscevo Alessandro ma quando l’ho visto nei panni del commissario mi è sembrato corrispondere perfettamente al mio personaggio. Ha il suo carattere, fragile, vive di paure, ha tante ossessioni. Che poi abbia la barba o i baffi, sia moro o biondo, per me non ha importanza. Sono certo che nell’interpretazione di Preziosi i lettori e i telespettatori troveranno almeno una faccia o un aspetto del protagonista dei romanzi”. I romanzi sono tre. Come mai, in tv, gli episodi saranno invece quattro? “In effetti, i miei romanzi sono tre. La produzione ha poi preso Indagine non autorizzata, che apre la serie tv, e l’ha adattata. In effetti il testo, l’ambientazione, il contesto e i personaggi si prestavano molto”.
“Fiction come queste, che portano in tv personaggi integerrimi che fanno il proprio dovere fino in fondo, come De Luca ma anche come Falcone e Borsellino – ha detto Alessandro Preziosi – lanciano messaggi preziosi al pubblico”. Nel cast ci sono tra gli altri Raffaella Rea (la si vedrà anche in Di Vittorio), Stefano Pesce, Ana Caterina Morariu (nel Sangue dei vinti, in coppia con Preziosi), Corrado Fortuna e Kasia Smutniak.
“Ho pensato al Pasticciaccio di Germi“, ha detto Max Gusberti di Rai Fiction, riferimento condiviso da Preziosi per la costruzione del personaggio De Luca, “un commissario anti eroe con l’ossessione per la verità”. Per “pigrizia” o “paura” De Luca – sottolinea il regista – non prende posizione politica, “piuttosto la subisce e anzi il rischio di essere strumentalizzato dalla politica lo allontana”. Così De Luca è nel ’38 commissario di polizia fascista e nel ’48 commissario dell’Italia Repubblicana, secondo una parabola storica comune a tanti funzionari pubblici dell’epoca.

Dopo aver presentato i primi quattro episodi agli Screenings e al Mip, la serie, coprodotta da Rai Fiction-Ager 3 verrà trasmessa in Romania, Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Albania, Ungheria e nell’ex Jugoslavia, mentre sono in corso trattative con altre emittenti europee, oirientali, medio orientali e sudamericane. “Il primo dato evidente – ha spiegato Carlo Nardello, amministratore delegato di Rai Trade – è quello relativo all’interesse creato intorno alle nostre produzioni di fiction di alta qualità. Il Commissario De Luca arriva dopo Montalbano, Caravaggio, Guerra e pace che hanno saputo portare il ‘made in Italy’ fuori dai confini nazionali”. Una riscoperta del prodotto italiano che è “sempre più spesso capace di reggere la concorrenza statunitense e di lingua inglese”.

Domani Rita Levi Montalcini festeggia 99 anni. Auguri!

(Pinkblog) Una donna al servizio dell’umanità che ha fatto della scienza il suo pane quotidiano e ragione di vita: Rita Levi Montalcini compie domani 22 aprile, 99 anni.

Laureata nel 1936, vittima delle leggi razziali fasciste e costretta ad emigrare in Belgio, docente negli Stati Uniti dal 1947 al 1977, Premio Nobel nel 1986 per aver scoperto il fattore della crescita nervoso, noto come Ngf (Nerve Growth Factor), direttore, superesperta e guest professor di vari Centri di ricerca, presidente dell’istituto dell’Enciclopedia italiana, membro delle più prestigiose accademie scientifiche internazionali, senatrice a vita, tre lauree ad honorem in università italiane ed internazionali, premi e riconoscimenti a non finire, tra cui “Saint Vincent”, “Feltrinelli”, “Albert Lasker“, fondatrice dell’Ebri (European Brain Research Institute).

Mi sento per la seconda volta un po’ Robinson Crusoe. La prima fu negli anni del fascismo. Allora ero più sola, più giovane e meno forte di adesso, eppure il male produsse un bene“.

Una scienziata irriducibile da sempre attiva nelle campagne di interesse sociale (contro le mine anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società), e dal 1992 fondatrice della “Fondazione Levi Montalcini”, in memoria del padre, rivolta alla formazione e all’educazione dei giovani. In particolare al conferimento di borse di studio a giovani studentesse africane, al fine di contribuire a creare una classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del loro Paese.

“Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà.
Meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita”. (Rita Levi Montalcini)

Ai suoi magnifici 99 anni, vanno i nostri migliori auguri.

Storia di una centrale mai nata. Forse.

(Maddalena Balacco (loska) – Giornalettismo.com) Quando l’ambientalismo (o presunto tale) non si ferma davanti a niente diventa un movimento che cavalca anche l’ignoranza pur di ottenere – alla fine dei conti – una poltrona. L’incredibile cronaca di un’occasione persa “Quando ci sarà la centrale a Biomasse, tutto il verde di questa vallata non esisterà più”. E’ questo quello che pensavano in molti a Stigliano, Matera, quando otto anni fa la Gavazzi Green power aveva chiesto e ottenuto i permessi per installare nell’entroterra del piccolo paese lucano una centrale che producesse energia elettrica a partire dalla combustione di biomassa. Contro la decisione dell’ amministrazione comunale di allora si alzò un coro di no, sostenuto da un più o meno organizzato fronte (uno dei tipici “Fronte del No” imperanti ormai in tutta Italia) che denunciava l’Armageddon ambientale prossimo venturo (insinuando come sempre in questi casi, connivenze varie ed eventuali su chiunque fosse di parere contrario). Un muro contro muro terminato nel classico “niente di fatto” all’italiana. Con sorpresa finale.

SO DI NON SAPERE – Una storia, quella della centrale a biomasse, che dura appunto da ben 8 anni e tre giunte comunali. Correva infatti l’anno 2000 quando forte dell’ok ricevuto dal comitato interministeriale (Ambiente, Industria, Sanità e Agricoltura) l’impresa energetica di Carlo Gavazzi si è presentata nel piccolo paese lucano chiedendo il via libera dal comune e la relativa licenza edilizia. Le contrattazioni prevedevano tutta una serie di punti che secondo l’allora sindaco erano di sicuro interesse per l’entroterra: a partire dalle royalties di “risarcimento ambientale” sull’energia prodotta (che sono arrivate al 7% fra Comune e Regione) fino all’accordo sulla costruzione di un impianto sportivo nella zona adiacente a quella industriale. E ancora, proprio per tutelare l’ambiente, l’installazione nei paesi vicini di rilevatori che indicassero la composizione dei fumi d’emissione e il sovvenzionamento di uno studio ambientale eseguito da un ente scelto dal Comune e non dall’impresa (l’Enea). La ricaduta economica prevedeva, tralasciando l’indotto edilizio per la costruzione dell’impianto (affidata a ditte locali), 50 posti di lavoro interni all’impresa e l’utilizzo di 70 autocarri per il trasporto della biomassa, che sempre per gli accordi intrapresi con la Gavazzi sarebbe stata prodotta in loco, sfruttando i terreni non coltivabili altrimenti. Niente male per un paese di 5mila anime circa, che, se avesse sfruttato l’occasione all’epoca, si sarebbe certamente candidato a motore dell’economia locale. Anche perchè molte altre imprese, attratte dalla possibilità di ottenere teleriscaldamento a prezzi bassi grazie alle emissioni della centrale, si dicevano pronte ad investire in loco. E poi? E poi è arrivato il “lupo verde”.

THE DAY AFTER TOMORROW! – La stessa Enea, durante l’esposizione dello studio, aveva espresso alcune perplessità sull’approvvigionamento, a cui però proprio l’accordo Comune/azienda aveva dato una prima sommaria risposta. Ma questo non è bastato a fermare il fronte del No: un insieme organizzato di cittadini ha iniziato ad avanzare le ipotesi più fantasiose sulla centrale e su cosa sarebbe accaduto una volta impiantata. “Bruceranno spazzatura!”; “La legna non basterà, arriverà dall’Est e con lei animali che distruggeranno il nostro ecosistema” erano i leit motiv della campagna ambientalista, che molto si basava su una diffusa ignoranza delle materie in oggetto. Basti pensare che un ricercatore (?) del Cnr cercò di dimostrare quale fra biossido di carbonio e anidride carbonica fosse più velenoso, sorvolando sul fatto che sono entrambi Co2, semplicemente in due nomenclature chimiche differenti. La popolazione, però, si allarmò non poco e lo strillare del fronte, appoggiato da alcuni rappresentanti di Verdi e Rifondazione in giunta regionale, provocò la chiusura all’impianto tout court, e di conseguenza l’annullamento sia dei rischi eventuali che dei sicuri benefici. Una prova di egoismo, sembrerebbe, soprattutto a fronte del fatto che la gran parte dei rappresentanti del NO ha poi colto la palla al balzo per candidarsi alle elezioni comunali successive e vincerle.

CONTI SOMMARI – La storia sembrerebbe concludersi così, con un niente di fatto che ha permesso ad un paese di perdere, economicamente parlando, sia gli introiti strutturali derivanti dalla costruzione della centrale (edilizia, idraulica, e simili), sia la possibilità di impiegare alcuni disoccupati. Intanto altrove le centrali nascevano e nascono, e sono sottoposte a severi controlli che ne seguono il lavoro costantemente. Mentre il bilancio per Stigliano si è chiuso così: niente energia verde, niente introiti del Cip6, niente clienti per le piccole imprese agroalimentari già presenti in loco… insomma niente di niente. Eppure, altrove, la storia continuava: la Gavazzi Green power, infatti, aveva già acquistato il terreno per la centrale e – onde evitare rilevanti perdite – decise di ricorrere al Tar. Che non solo le ha dato ragione, ma constatando il silenzio del governo regionale a distanza di anni dalla sentenza, ha nominato un Commissario (dalla direzione nazionale del Ministero dell’Ambiente) il quale sostituendosi ipso facto alla potestà regionale autorizzò la centrale a massimo voltaggio. E arriviamo ad oggi: la Gavazzi torna alla carica, prevedendo – permessi alla mano – di iniziare comunque i lavori entro maggio/giugno 2008. Dal Comune rimandano la palla alla Regione e anche questa volta i cittadini “faranno le barricate”, ma per permettere che la centrale venga costruita, perchè si sono resi conto che “si è chiesto cos’era la fame a quelli che erano sazi”. Mentre gli altri, la maggioranza ovviamente, per otto anni la fame l’ha patita alla faccia dell’aria buona (che non c’è) e del panorama per i turisti in agosto.

Giovanna Mezzogiorno, da trentenne irrisolta ad amante del Duce.

Giovanna Mezzogiorno, protagonista del film di Stefano Chiantini, in uscita il 18 aprile, distribuito da Mediafilm

L’amore non basta

(Simona Santoni – Panorama) Trafelata e confusa tra mille cose, l’università, il violino, il lavoro. Una trentenne irrisolta, che non ha pace in sé e che, pur amando, ha perso per strada, senza un perché, quel qualcosa senza nome che permette a una coppia di incontrarsi e stare insieme. Appare così la nuova Giovanna Mezzogiorno, abbandonati i panni colombiani di fine Ottocento di Fermina Ariza de L’amore ai tempi del colera. Ora è tornata in Italia ed è Martina, nel film di Stefano Chiantini L’amore non basta, che arriverà nelle sale il 18 aprile, dopo un’anteprima il 13 aprile come film di chiusura del MIFF di Milano.
Pellicola di una grazia particolare, è nata in maniera insolita, prodotta interamente da capitali privati di persone al primo incontro con il cinema o sostenitori della crescita artistica di Chiantini. Racconta la storia d’amore tra Martina, assistente di volo (per sua fortuna per Air One, e non per Alitalia), e Angelo, aspirante scrittore dolce e collerico, visionario e maniacale, interpretato da un poderoso Alessandro Tiberi. Relazione in crisi. Irreparabilmente? Il rapporto si trascina dolorosamente tra avvicinamenti e fughe, senza un reale motivo. Tra slanci profondi e altrettanta profonda incomunicabilità. Irresistibile la performance di Rocco Papaleo, nei panni di una presenza strana e divertente, in giacca e cravatta, che di tanto in tanto compare accanto ad Angelo. Quel dettaglio indispensabile che completa un abito.
Il trailer da Youtube:


Giovanna Mezzogiorno, “attractive and sultry” (bella e torrida), come l’ha definita il New York Times, anche in questo film dà il cuore. Ed è entusiasta del risultato finale.

Giovanna, cosa ti ha spinto ad accettare il ruolo di Martina, con un regista giovane, anche cinematograficamente parlando, come Chiantini, e in una produzione un po’ particolare?
Un po’ particolare? Possiamo dirlo forte! Non recitavo da tanto. Dopo L’amore ai tempi del colera non ho lavorato per otto mesi perché ero distrutta. De L’amore non basta mi ha incuriosito che a farmi da tramite è stato Rocco Papaleo, vecchio e caro amico dai tempi di Del perduto amore. Ho grossa stima delle sue scelte: il fatto che lui mi introducesse a questo regista mi ha dato il la. Poi ho letto la sceneggiatura che mi è sembrata quanto meno originale, ha una visione non “ruffiana” dei rapporti. È un film che mi ha fatto anche ridere.

Com’è stato l’incontro con Chiantini?
Chiantini non avrebbe mai “osato” cercare attori affermati e contattarmi. È stato Rocco a far da tramite, quindi l’ho chiamato ed è venuto a casa mia. Lui era davvero contento. Il colpo di fulmine che c’è stato, prima, per la sceneggiatura, poi c’è stato per Stefano, che amo spudoratamente – sorride la Mezzogiorno -. È un regista con cui si è creato un ottimo legame, di intesa e collaborazione. Ho partecipato con entusiasmo. Il film è anticonvenzionale, molto autoriale. Chissà come andrà in sala.. Io ne sono molto felice e sono ottimista. È stato un lavoro veloce, girato in cinque settimane perché non c’era una lira.

La mamma infelice di Martina le dice “Sapersi accontentare è importante” e lei risponde “Ma forse lo è per te”. Anche Giovanna avrebbe risposto così?
Sicuramente, accontentarsi è una cosa che non bisogna fare. Detto questo, però, per costruire una relazione è chiaro che si deve scendere a compromessi, cosa che è segno di forza e non corrisponde a rassegnazione. Però Martina e Angelo non hanno il problema di doversi accontentare, a volte è per motivi inspiegabili che ci si allontana. Impercettibili. Fino ad arrivare, talvolta, a non conoscersi quasi più.

Veniamo al futuro. A breve uscirà The Palermo Shooting di Wim Wenders, e a maggio iniziano le riprese di Vincere di Marco Bellocchio, in cui interpreti Ida Dalser, l’amante segreta di Mussolini, a cui dà il volto Filippo Timi. Ti entusiasma l’idea di lavorare, per la prima volta, con Bellocchio? Ed è anche la prima collaborazione con Timi?
Lavorare con Bellocchio mi onora. E che mi abbia scelto, con provino regolare, mi riempie d’orgoglio. Sono contenta anche di trovarmi con Timi, che non conosco personalmente ma che stimo molto.

Hai già qualche anticipazione da darci su Vincere?
Finora ho letto solo la sceneggiatura e non so nient’altro del film. Ma ovviamente mi fido molto di Bellocchio e non ho particolari paure su come sarà il lavoro. Semmai ho paura di come lavorerò io.

Ma dopo Hollywood e le tante pellicole inanellate hai ancora paura?
Ho sempre paura. Sono molto ansiosa.

Progetti futuri? C’è ancora Hollywood o produzioni internazionali nei tuoi piani?
Per fortuna dall’America arrivano proposte. Alcune le ho rifiutate, altre sono da valutare, sopra la scrivania. Ancora niente di deciso.

Potessi scegliere, con chi vorresti lavorare?
Non ho preferenze, né mi piace esternarne. Certo è che mi piacerebbe lavorare ancora con Chiantini.

Cinema italiano: difficile trovare ruoli e produzioni interessanti? Tra l’altro nella lettera dei CentoAutori rivolta a deputati e senatori del prossimo governo, affinché non sepolgano la parola “cultura”, c’è la tua firma.
Sì, è una cosa che approvo e sottoscrivo. Non so quanto questa lettera sia utile, però mi piace pensare che almeno ci siamo battuti. Mi pare che l’aspetto culturale sia il meno valutato dai politici. Io in Italia lavoro bene, ma vedo che è molto difficile fare film, girarli, montarli, distribuirli. Girano pochi soldi. Il cinema italiano incassa poco, per colpa del pubblico. C’è mancanza di voglia di uscire per vedere un film, si pensa che tanto tra un anno sarà su Sky o in dvd. E qui non c’entra niente la politica, né la distribuzione.

Tu vai al cinema?
Sì, ma meno di quanto vorrei. Cerco di dare la precedenza ai film italiani, anche perché sono più da prendere al volo e restano fuori meno giorni rispetto agli americani.

Cosa pensi della nuova generazione di attori, Germano in primis?
Elio Germano è eccezionale, si sa, ormai non ha certo bisogno del mio consenso. E trovo che anche Alessandro Tiberi, non perché ha lavorato con me, sia un attore enorme. E ha una fotogenia bellissima, con varietà di espressione. Nell’ultimo film di Virzì mi è piaciuta molto anche Isabella Aragonese.

Alessandro Tiberi e Rocco Papaleo, tra i protagonisti del film di Stefano Chiantini, in uscita il 18 aprile, distribuito da Mediafilm

L’amore non basta

Panorama. Tutti gli errori di Garlasco: Le foto esclusive della scena del crimine.

I carabinieri delle investigazioni scientifiche entrano nella villa di Garlasco in cui il 13 agosto 2007 è stata uccisa Chiara Poggi

Guarda la GALLERY delle foto esclusive dalla scena del crimine

(Antonio Rossitto – Panorama) In un’afosa mattina di metà agosto Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata morta nella sua villetta di Garlasco con la testa fracassata. Sette mesi dopo, lo scorso martedì 18 marzo, sono cominciate nel dipartimento di medicina legale dell’Università di Pavia le analisi su sette capelli che la ragazza stringeva nella mano destra. Si riparte da capo? “Ci mancherebbe… Ma non vogliamo tralasciare alcuna ipotesi” corregge Alfonso Lauro, procuratore di Vigevano. Fatto sta che gli altri capelli trovati nella medesima mano erano già stati analizzati dal Ris di Parma, che non era riuscito a estrarne il dna.
Il celebrato reparto di investigazioni scientifiche è stato nei fatti escluso dal nuovo incarico? “Illazioni” replica infastidito il procuratore. “Avevamo solo bisogno di specialisti che nel Ris ci sono, ma non a livello universitario. Quindi abbiamo preferito dare altrove la consulenza”.
Comunque sia, l’omicidio di Garlasco ha mostrato i limiti della scienza applicata alle indagini. La nuova consulenza sui capelli di Chiara Poggi è solo l’ultimo episodio di un’inchiesta cominciata male e mai finita. Panorama ne svela, per la prima volta, tutti i passi falsi.
Le dubbie tracce di sangue sui pedali della bici di Alberto Stasi, fidanzato della vittima e unico indagato; le impronte digitali che il ragazzo avrebbe lasciato sul portasapone; l’inquinamento della scena del crimine; il giallo della riesumazione di Chiara Poggi: tutti elementi che gettano pesanti ombre su uno dei casi di cronaca nera più misteriosi degli ultimi tempi.
A partire proprio da quei capelli che adesso Carlo Previderè e Gabriella Peloso hanno il compito di analizzare “entro 60 giorni”: questo scrive il pm Rosa Muscio, titolare delle indagini, nel verbale di conferimento dell’incarico. I due genetisti dovranno estrapolare il profilo genetico e poi confrontarlo con tutte le persone coinvolte nell’inchiesta: da Stasi fino alle cugine di Chiara, Paola e Stefania Cappa.
Nella relazione tecnica del Ris, inviata alla procura di Vigevano il 16 novembre, si parla di “reperto 10-A”: una “ciocca di capelli, lunghi circa 20 centimetri, variamente imbrattati di sangue, verosimilmente relativi alla vittima”. Tutti “privi di radici e quindi non utili” per estrarre il “dna nucleare”. I tecnici del Ris infatti annotano: “Nessun prelievo effettuato”. Saranno adesso i biologi dell’Università di Pavia a fare quegli accertamenti che hanno meritato appena quattro righe di ragguagli.
Ben più ponderosa la mole di lavoro sulla bicicletta marrone di Stasi. Il 24 settembre 2007 viene inviata alla procura di Vigevano una “relazione preliminare” con l’accertamento sui pedali: “Ha permesso di ottenere un profilo genetico riconducibile, al di là di ogni ragionevole dubbio, alla vittima”. Sui pedali vengono scoperte delle piccolissime crosticine rosso-brunastre: “Sottoposte al Combur test, per la diagnosi generica della natura ematica delle tracce, hanno fornito esito positivo”. Secondo il Ris, su quei pedali c’è il sangue di Chiara Poggi. Se ne convince anche Rosa Muscio che, sulla base di quella relazione, arresta Stasi.
Il giorno seguente, il 25 settembre, il reparto scientifico dell’arma manda una “nota tecnica” sugli esami del giorno prima: “Risultati”, ammette il documento, comunicati senza “procedere a ulteriori accertamenti”. C’è di più; il 24 settembre quelle tracce sono considerate senza dubbio di sangue, tanto da convincere il pm a spiccare il decreto di fermo per Stasi. Un giorno dopo la posizione del Ris è più sfumata: “Il profilo genetico relativo alla vittima” è solo “con elevata probabilità riconducibile a sangue”. Le certezze che hanno portato in galera l’ex fidanzato di Chiara Poggi sono scomparse.
Il 27 settembre Francesco Maria Avato, consulente tecnico di Stasi, invia le sue osservazioni alla procura. Il professore di medicina legale dell’Università di Ferrara spiega che le analisi del Ris non dimostrano “la presenza di emoglobina”. Quindi non consentono “la qualificazione di una determinata traccia come ematica”.
Stasi viene scarcerato il 28 settembre, il giorno dopo la relazione di Avato. Il gip di Vigevano, Giulia Pravon, considera “insufficienti” gli indizi raccolti. Quello sui pedali potrebbe non essere sangue: un dubbio del resto legittimato anche dalla formula usata dal Ris nella nota del 25 settembre: “Elevata probabilità”.
Potrebbe essere invece saliva, dicono i difensori di Stasi. Una divergenza di opinioni che ricorda il caso di Cogne. Per il Ris quello trovato sulle pantofole di Anna Maria Franzoni era sangue; per altri periti era solamente sudore.
In un ipotetico libro sui punti oscuri dell’indagine, un capitolo a parte, anche questo voluminoso, meriterebbero le impronte. A cominciare da quelle digitali. Due di queste sarebbero per l’accusa un’ulteriore prova a carico di Stasi: due ditate sul dispenser del sapone nel bagno al piano terra. Nella parte della consulenza tecnica dedicata agli accertamenti dattiloscopici si legge: “Appare comunque suggestivo che le uniche impronte dell’indagato, oltre a quelle rinvenute sul cartone per il trasporto della pizza, siano state evidenziate proprio sull’erogatore del sapone liquido, davanti al quale ha sostato l’omicida con le scarpe fortemente imbrattate del sangue della vittima”.
Due tracce che però, probabilmente, non reggerebbero in un processo. Per la giurisprudenza italiana, un rilievo dattiloscopico ha valore probatorio certo solo quando ha 16 punti (detti minuzie) in comune con l’impronta di una persona. Però una delle presunte tracce dell’anulare destro di Stasi ha solo 13 minuzie: quindi non ha “utilità giuridica”. L’altra ne ha 17. “È un’interpretazione forzata” ammette, dietro l’anonimato, un esperto di dattiloscopia in servizio al Ris. “I punti utili in quell’impronta non sono più di una decina”.
Oltre ai segni che avrebbe lasciato Stasi, sulla scena del delitto sono state trovate molte altre impronte. Nella consulenza tecnica c’è una lunga tabella: dieci sono del fratello di Chiara Poggi, due del padre, tre di un falegname che, qualche giorno prima dell’omicidio, aveva fatto dei lavori nella villetta di via Pascoli. Il documento firmato dal Ris conferma: oltre a Stasi, “tutte le restanti impronte sono state attribuite alla vittima, ai suoi familiari, a un operaio”, ma pure “al personale che ha effettuato i primi accessi alla scena del crimine”. Cioè i carabinieri.
Quattro tracce sono del capitano Gennaro Cassese, che guida la compagnia di Vigevano. Una è del colonnello Giancarlo Sangiuliano, a capo del comando provinciale di Pavia. C’è poco da sorprendersi: nessuno ormai crede più alla scientifica rappresentata nelle fiction, in cui ogni cosa funziona alla perfezione. La scena del crimine viene immediatamente preservata, in attesa dell’arrivo degli uomini in tuta e sovrascarpe bianche. A volte, invece, i primi momenti di un’indagine possono essere molto convulsi.
Non dovrebbe accadere, però un movimento maldestro può sfuggire. Ma a Garlasco è accaduto molto di più. Lo descrive nei dettagli la stessa relazione del Ris. “Numerose tracce per deposizione ematica” si trovano sul pavimento del soggiorno, in direzione del corridoio, dove Chiara Poggi fu presumibilmente trascinata e poi spinta giù per le scale della cantina. Tracce di sangue con “un medesimo disegno”: “che ricorda nella forma la lettera greca lambda”. Segni che, viene specificato, non appartengono né a suole di scarpa e nemmeno ai “depositi lasciati dalla cassa mortuaria”.
Invece: “L’originaria posizione del divano, così come ripreso dall’Arma territoriale di Pavia all’atto del primo sopralluogo, era parzialmente sovrapposta all’area in cui sono state osservate le tracce lambda”. Significa che il sofà è stato spostato con poca accortezza. Infatti, questi residui possono riferirsi “alle prime attività sulla scena del crimine, allorquando il sangue della vittima non era completamente coagulato”.
Ma pure dopo l’intervento del reparto scientifico dell’Arma sembra che le cose non siano migliorate. Il segno del palmo destro ritrovato sul portone è del maggiore Marco Pizzamiglio, vicecomandante del Ris di Parma. E gli uomini ai suoi ordini non fanno apparentemente di meglio. Altre tracce nell’ingresso e nel corridoio “esibiscono una caratteristica suola a carro armato, tipica delle calzature pesanti, nonché di quelle militari”. Tracce che “devono ragionevolmente riferirsi all’azione di riporto delle calzature del personale di questo reparto intervenuto durante i precedenti sopralluoghi”. Cioè il Ris di Parma.
Un’abbondanza di reperti che stride con il più imprevedibile dei paradossi. Il 20 agosto, una settimana dopo il delitto, la salma di Chiara Poggi viene inaspettatamente riesumata. I tecnici del Ris devono prendere le impronte digitali sul cadavere. Nelle prime, concitate, fasi dell’inchiesta qualcuno aveva dimenticato di farlo.
(antonio.rossitto@mondadori.it)

Afghanistan, 12 gli italiani morti.

La maggior parte vittima di attentati.

(TGCom) E’ salito a 12 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall’inizio della missione italiana nel 2004. Di questi la maggioranza è rimasta vittima di attentati, altri invece sono morti in incidenti, mentre uno è deceduto per un malore.

Caporal maggiore GIOVANNI BRUNO – Il 3 ottobre 2004 alla periferia di Kabul esce di strada il mezzo sul quale viaggiava il caporal maggiore Bruno, 23 anni.

Capitano di fregata BRUNO VIANINI – Il 3 febbraio 2005 il capitano si trovava su un aereo civile in volo da Herat a Kabul che è precipitato in una zona di montagna a 60 chilometri a sud-est della capitale.

Caporal maggiore capo MICHELE SANFILIPPO – L’ 11 ottobre 2005 il caporal maggiore, 34 anni, e’ stato trovato morto nella camerata del battaglione Genio a Kabul, colpito alla testa da un proiettile sparato accidentalmente da un suo commilitone.

Tenente MANUEL FIORITO e maresciallo LUCA POLSINELLI – Il 5 maggio 2006 un ordigno esplode al passaggio di una pattuglia italiana su due veicoli blindati a sud-est di Kabul. Rimangono uccisi gli alpini Fiorito, 27 anni, e Polsinelli, 29 anni.

Tenente colonnello CARLO LIGUORI – Il 2 luglio 2006 a seguito di un infarto al miocardio muore ad Herat il tenente colonnello Liguori, 41 anni.

Caporal maggiore GIUSEPPE ORLANDO – Il 20 settembre 2006, a causa del cedimento del terreno, si capovolge il Puma sul quale viaggiava una pattuglia italiana a Chahar Asyab, circa 13 km a sud di Kabul. Muore il caporal maggiore Orlando, 28 anni.

Caporal maggiori GIORGIO LANGELLA e VINCENZO CARDELLA – Sei giorni dopo, sempre a Chahar Asyab, un ordigno improvvisato esplode al passaggio di una pattuglia italiana: resta ucciso il caporal maggiore Langella, 31 anni, mentre altri 5 militari italiani sono feriti. Tra questi il caporal maggiore Cardella che morirà alcuni giorni dopo.

LORENZO D’AURIA – Il 24 settembre 2007, l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria viene ferito durante il blitz delle forze speciali britanniche compiuto per la sua liberazione.

Maresciallo capo DANIELE PALADINI – Il 24 novembre dell’anno scorso il maresciallo Paladini è rimasto ucciso nella valle di Pagman, a 15 km da Kabul, a causa di un attentatore suicida che si è fatto esplodere. Altri tre militari restano feriti.