Gb. Lord Laidlaw dona 1 milione di sterline per curare i "sesso-dipendenti".

(Agi) Ventiquatt’ore ore dopo che un tabloid ha rivelato la sua ossessione per il sesso, un ricco lord scozzese ha deciso di donare un milione di sterline (1,27 milioni di euro) per quelli che, come lui, sono “sex-addict”. Lord Laidlaw, generoso finanziatore del partito conservatore, gia’ sotto inchiesta per evasione fiscale, e’ il protagonista dell’ultimo scandalo a luci rosse che -dopo l’ex governatore Eliot Spitzer, in Usa, e il boss della Formula 1, Max Mosley- si abbatte sul mondo degli “happy few”. ‘News of the World’ ha rivelato domenica che il 64enne baronetto e’ un sesso-dipendente che adora organizzare gaudenti orge con prostitute e gigolo’ da 3.000 sterline a notte; il tutto innaffiato da fiumi di champagne e cocaina.

Secondo il popolare domenicale, Laidlaw, che risiede a Montecarlo, affittava per le sue serate particolari da 27.000 sterline l’una la suite dell’hotel Ermitage (che da sola ne costa 6.000): insieme a 4 ragazze, un gigolo’, la droga, Viagra e alcol. Il copione cambiava di volta in volta, con qualche particolare ricorrente (“ragazze alte con seni piccoli”). Ma a volte il barone Irvine Laidlaw of Rothiemay, che ha fatto la sua fortuna con una societa’ organizzatrice di eventi internazionali, si limitava solo a guardare.

Ma oggi il ‘Times’ rivela che il protagonista dell’ennesima storiella piccante -110.mo uomo piu’ ricco del Regno Unito con una fortuna personale di 730 milioni di sterline, di cui 6 donati al partito di David Cameron- e’ entrato volontariamente in una clinica sudafricana per tentare di curarsi e evitare “una ricaduta in inaccettabili comportamenti”. Non solo. Con un’inedita forma di pentimento, Lord Laidlaw ha deciso di porsi come obiettivo il finanziamento di una ong britannica che potra’ usare i soldi per coloro che sono erotomani come lui, ma non possono permettersi cure.

Italia, 7 milioni con problemi sessuali , lui lo vuole più lungo e lei la vuole pià stretta.

Esperti riuniti a Berlino: 4 milioni di maschi soffrono di eiaculazione precoce. Tre milioni colpiti da disfunzione erettile. In crescita le richieste di intervento.
Italia, 7 milioni con problemi sessuali e in 20.000 vogliono il pene più lungo.
Anche tra le donne aumenta il ricorso al chirurgo per correggere difetti “nelle parti intime”.

(La Repubblica) Sono sempre di più gli uomini e le donne italiane che decidono di risolvere i propri probelmi sessuali rivolgendosi al chirurgo. In particolare, per quanto riguarda i ragazzi, in ventimila ogni anno si affidano al bisturi per risolvere problemi di misure. Discorso simile, ma con motivazioni diverse, anche per quanto riguarda le signore, che chiedono interventi alle “parti intime”.

Gli uomini. Notizie poco piacevoli per gli uomini italiani, quelle che arrivano dal congresso annuale della Società europea di urologia che a Berlino ha riunito oltre diecimila esperti da tutto il mondo. Secondo i medici, oltre 4 milioni di maschi nostrani soffrono di eiaculazione precoce, mentre 3 milioni colpiti da disfunzione erettile con rapporti che non superano i 3 minuti: un disturbo in aumento, soprattutto tra i giovani, quasi sempre di origine psicologica: si pretende troppo e questo non fa che accrescere l’ansia da prestazione, innescando meccanismi che degenerano nella eiaculazione precoce. Ed è in aumento anche l’infertilita: in Italia colpisce 1 coppia su 5 (il 15% di quelle in età fertile) e si prevede che nel 2015 la proporzione arriverà a 1 su tre.

Le richieste. I ragazzi contattano l’urologo sempre prima e sempre più frequentemente. Due le richieste principali che arrivano allo specialista: prolungare in tempi dell’amore e avere un organo sessuale migliore, ovvero sottoporsi ad un intervento chirurgico per l’allungamento del pene. I numeri parlano chiaro: “Sono oltre 20.000 – afferma il presidente della Società italiana di urologia, Vincenzo Mirone – i giovani tra i 18 e i 30 anni che ogni anno chiedono allo specialista di potersi sottoporre ad un intervento per l’allungamento del pene”.

Le misure. Ma il vero problema è che, nel 90% dei casi, si tratta di richieste immotivate. Normalmente – spiega Mirone – un pene in erezione misura tra i 9 e i 18 centimetri, ma i ragazzi che vengono nei nostri studi si sentono handicappati se il proprio organo misura, ad esempio, 12 centimetri. Lo specialista avverte che in questi casi il medico deve rifiutare l’intervento e spiega “che si ricorre alla chirurgia solo nel caso in cui le dimensioni in erezione siano inferiori a 9 centimetri”.

Le donne. Ma anche tra le donne le richieste di intervento chirurgico sono in aumento. Non bastano più seni rifatti, lifting del viso, dell’addome, dei glutei, la liposcultura delle cosce e ginocchia. Ora l’ultima moda della chirurgia estetica al femminile si chiama labiaplastica: la riduzione, cioè, delle piccole labbra. Per molte donne infatti le eccessive dimensioni producono fastidi e dolori in molte attività sportive o semplicemente nel rapporto sessuale. Lo studio sulle nuove tendenze della chirurgia estetica viene da “Laclinique”, il primo consultorio estetico che da quest’anno ha creato una divisione di chirurghi per supportare le richieste di natura “intima”. Un intervento del genere costa dai 3.500 ai 4.500 euro.

Ma non finisce qui. Al secondo posto della classifica degli interventi più gettonati sulle parti intime, e la richiesta è aumento, figura l’asportazione del grasso sul “monte di venere”, che crea dislivelli evidenti rispetto all’addome mettendo in imbarazzo la donna e spesso anche il partner. L’intervento affianca la lipoaspirazione dell’addome e il costo si aggira tra i 3 e 4 mila euro. Raddoppiate anche le richieste di ricostruzione dell’imene. Molte donne, infatti, si rivolgono prima al proprio ginecologo e proprio al chirurgo plastico o estetico per “rivivere una seconda volta”, attraverso un semplice intervento che restituisce la verginità anatomica. Costo intorno ai 5 mila euro, realizzabile anche in day hospital.

L’ultima frontiera. Infine per le donne che hanno partorito e che vogliono tornare “normali nelle parti intime” il trend indica la “vaginal tightening cosmetic”, cioè il restringimento della vagina per incrementare la sensibilità durante il sesso. In questo caso si tratta di un vero intervento in anestesia generale, la paziente deve rimanere una notte ricoverata e il costo è di circa 6 mila euro. I rapporti sessuali torneranno “floridi” dopo uno-due mesi.

Aids, la speranza di una cura riparte dalle porte di Roma.

Sarà annunciata fra pochi giorni la scoperta nel laboratorio della Merck a Pomezia di una molecola che bloccherebbe il virus Hiv .

(Andrea Rustichelli – La Repubblica) Notizie importanti arrivano dall’Italia per la ricerca sul virus Hiv: protagonista la molecola scoperta a Pomezia, 30 chilometri a sud di Roma, nei laboratori dell’Istituto di Ricerche di Biologia Molecolare P. Angeletti. La molecola segna un passo avanti rispetto alle terapie tradizionali, le antiretrovirali. La prospettiva sarebbe la creazione di una classe di farmaci che, bloccando un enzima, potranno limitare la capacità del virus Hiv di riprodursi. Sarà il primo di una nuova classe di farmaci che inibendo l’enzima dell’integrasi, limita appunto la capacità del virus di replicarsi. I dettagli della scoperta saranno presentati il 17 aprile presso la sede del centro, che è una struttura d’eccellenza specializzata nella ricerca sulle malattie virali, Aids ed epatite C, e anche nel trattamento dell’arteriosclerosi e nei nuovi approcci alle terapie oncologiche. Dal 2000 è stato acquisito dal gigante internazionale del farmaco Merck Sharp & Dohme (fatturato 2007 di 24 miliardi di dollari, il 20,2% dei quali destinato alla ricerca), tramite la consociata Msd Italia. L’Istituto è parte integrante di una ramificata struttura, i Merck Research Laboratories.

La partita è cruciale per la Merck, da sempre in prima linea nella ricerca di vaccini e di farmaci contro l’Aids. Sul fronte vaccini, alla fine dell’anno scorso è stata costretta a ritirare quello che sembrava più avanzato ma non vuole rinunciare alla sfida. La scoperta fatta in Italia rilancia gli sforzi della multinazionale americana. Lo scienziato Gennaro Ciliberto è direttore scientifico dell’Istituto nonché vice presidente dei Merck Research Laboratories. «Lo staff della struttura spiega è di 200 persone, decisamente internazionale, con una cospicua presenza femminile. Non mancano le collaborazioni con la comunità scientifica italiana, dall’Istituto Europeo di Oncologia di Milano a diverse università».
L’Istituto, negli ultimi cinque anni, ha investito 180 milioni di euro. «Da 20 anni, la Merck è impegnata su più fronti nella lotta contro l’infezione da Hiv», conferma Josè Louis Roman, presidente di Msd Italia. «L’azienda ha investito fondi ed energie in ricerca clinica, ma anche in programmi di collaborazione con i governi di vari paesi. E nel 2007, ha donato risorse finanziarie e di prodotto per un totale di 820 milioni di dollari».

Ma quali sono le frontiere della ricerca sui vari versanti, compreso quello oncologico? «Sono 7 le molecole in fase III di sviluppo clinico, quella più prossima alla commercializzazione, 17 sono in fase II e 23 nella fase iniziale di sperimentazione. «La nostra R&S si concentra nell’arteriosclerosi e malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, del metabolismo osseo, immunologia ed endocrinologia, diabete e obesità, malattie infettive e vaccini, neuroscienze e oncologia». E l’Istituto di Pomezia? «Sono convinto che nei prossimi anni il numero di molecole identificate in questo centro come potenziali candidati terapeutici sia destinato ad aumentare: questo comporterà un aumento della ricerca clinica condotta in Italia».

Milano, record di maschi depressi. Pesano carriera e famiglia, il crollo tra i 30 e i 40 anni.

Se la situazione degenera spesso si preferisce l´automedicazione, e dallo psichiatra si arriva a patologia avanzata.

(Laura Asnaghi – La Repubblica, edizione di Milano) Andrea, trent´anni, una carriera da manager, non ci voleva credere. «Io depresso? Vi sbagliate. È solo stress. Mi prendo un weekend di pausa e torno come prima». Ma il fine settimana al mare non è servito a migliorare l´umore di Andrea. Lui, che era sempre stato uno studente modello della Bocconi, dopo qualche anno di lavoro ai vertici di grandi aziende multinazionali si era logorato. Perdeva la calma per un nonnulla, tirava pugni sulla scrivania e, in auto, diventava una belva se qualcuno davanti a lui andava troppo lento.
La storia di Andrea, che oggi è in cura al Fatebenefratelli, è quella che accomuna molti giovani milanesi travolti dalla depressione, malattia che, di solito, si pensa sia solo un dramma che riguarda le donne. Ma non è così. Secondo le ultime statistiche mediche a Milano il “male di vivere” colpisce almeno 60mila donne mentre gli uomini depressi sono più di 26mila. «Certo le donne sono più numerose ma l´incidenza della depressione tra i maschi è in forte crescita» spiega Claudio Mencacci, primario di psichiatria al Fatebenefratelli. La depressione in chiave maschile sarà uno dei temi centrali di un convegno, “La prevenzione in psichiatria”, che si tiene a Sondrio, in Valtellina, da oggi fino a domenica. Milano guida la classifica delle città italiane più esposte al rischio di depressione tra i maschi con il 3 per cento dei malati, pari a 26 mila casi. Al secondo posto c´è Torino con il 2,8 per cento e 21.500 pazienti, al terzo posto si colloca Roma con il 2,5 per cento e 47.500 depressi. Seguono Napoli con il 2,4 per cento di malati (pari a 20mila casi) e Palermo con il 2 per cento (14mila casi).
Ma perché Milano detiene il primato? «Qui ci sono condizioni ambientali che rendono la vita più dura – spiega Mencacci – spesso si pretende dai maschi di essere dei professionisti Superman, brillanti e capaci. Ma oltre alla carriera si richiedono performance d´alto livello anche sul fronte familiare. Non tutti reggono la sfida». Così l´ansia cresce e la paura di non essere all´altezza della situazione si traduce prima in disagio e poi in malattia vera e propria. Chi ne soffre di più sono i maschi, dai 30 ai 40 anni, nel pieno della loro carriera. «Per alcuni uomini riuscire a fronteggiare tutte queste sfide diventa uno sforzo intollerabile – spiega Mencacci – molti diventano cupi, irascibili e il loro malumore spesso degenera in quello che noi medici definiamo “la caduta della performance” che significa difficoltà a concentrarsi nel lavoro e disinteresse verso la famiglia e la vita». Ma i maschi, a differenza delle femmine, non ricorrono subito ai medici. Anzi, se ne tengono ben alla larga. «Prima di trovare il coraggio di farsi curare passano mesi – ricorda Mencacci – c´è chi si auto-prescrive farmaci contro l´ansia, chi si rifugia nell´alcol e chi non trova più neanche la forza di uscire di casa». Risultato: quando i maschi si arrendono all´evidenza e bussano alla porta di uno psichiatra la loro malattia è a uno stadio avanzato. «Le cure sono a base di farmaci, psicoterapia e, se possibile, sport – conclude Mencacci – perché il calcio, il tennis o lo sci aiutano a ritrovare la voglia di vivere. Dalla depressione si esce ma il cammino è lungo. Soprattutto per i maschi: proprio perché fanno di tutto per evitare di ammettere di aver bisogno d´aiuto».

Sesso. E’ l’mpotenza il tabù degli italiani. L’80% malati non va dal medico.

(Adnkronos Salute) I ‘flop’ sotto le lenzuola restano un tabù di ferro tra gli italiani. Nell’ultimo anno il 25% (uno su 4) dei connazionali sessualmente attivi ha sperimentato un problema di disfunzione erettile maschile, ma il disturbo viene minimizzato da 7 su 10. E in presenza di un disturbo di erezione persistente, i ‘panni sporchi si lavano in casa’: l’80% di chi soffre si limita a parlarne con la partner o al massimo con gli amici più cari, senza chiedere il parere del medico. E’ un atteggiamento di ‘omertà’ quello che emerge da un’indagine condotta da Ipsos per conto di Bayer, presentata oggi a Milano durante la prima giornata del 23esimo Congresso annuale Eau (Associazione europea di urologia).

La ricerca rileva che solo un intervistato su 10 assume ‘pillole dell’amore’, mentre il 9% sceglie altri rimedi. Dal sondaggio, su un campione di mille italiani over 18, risulta che sono più gli uomini a riconoscere un problema di disfunzione erettile (30% contro il 20% delle donne). La maggior parte tace. Eppure alla lunga la tendenza a nascondere il disturbo può avere conseguenze pesanti non solo sulla vita di coppia, ma anche e soprattutto sulla salute. “I problemi erettili – spiega infatti Mario Maggi, ordinario di Endocrinologia all’università di Firenze – sono un campanello di allarme di altre patologie cardiovascolari (ipertensione, infarto, angina e ictus) o metaboliche (diabete ed eccesso di grassi nel sangue). Dunque la disfunzione erettile può essere per l’uomo una preziosa opportunità di prendersi cura della propria salute e prevenire malattie mortali.

Per questo possiamo arrivare a dire: impotenza, che fortuna!”, è la provocazione dell’esperto, che invoca “un nuovo approccio comunicativo” contro una condizione “ancora vissuta come un tabù, come una patologia di cui vergognarsi”, conferma Maggi. Ma chi sono gli uomini più a rischio di ‘defaillance’ in camera da letto? “Coloro che non fanno attività fisica – avverte lo specialista – chi ha grassi e zuccheri alti nel sangue, chi ha la pressione alta, chi fuma e in generale quelli che hanno una storia familiare di patologie cardiovascolari”, dice. Uno studio dell’università di Firenze su duemila pazienti, in corso di pubblicazione sul ‘Journal of Sexual Medicine’, ha chiarito inoltre che “l’obesità, la patologia del secolo, è il fattore di rischio più importante per le patologie metaboliche, endocrine e cardiovascolari.

Che possono essere svelate proprio dalla disfunzione erettile”, ribadisce Maggi. E all’origine del link tra impotenza e sindrome metabolica c’è la resistenza all’insulina, “che si identifica semplicemente con l’adiposità viscerale (nei maschi circonferenza vita maggiore di 102 centimetri)”, ricorda. Insomma, per recuperare una vita sessuale soddisfacente e salvare la salute bisogna innanzitutto “correggere il proprio stile di vita – raccomanda l’endocrinologo – Dietro prescrizione del medico, si devono assumere i farmaci necessari per correggere l’ipogonadismo e le patologie che si associano alla disfunzione erettile.

Infine, per migliorare le performance sessuali esistono medicinali sicuri e mirati. La resistenza di alcuni al loro uso è anch’essa conseguenza dei tabù e della scarsa consapevolezza sul problema”, afferma. Ma “oggi abbiamo a disposizione pillole ad azione rapida e con effetti collaterali minimi. Tra queste la ‘pillola arancione’ (vardenafil), che agisce in soli 10-15 minuti dall’assunzione ed è venduta in tre diversi dosaggi (5, 10 e 20 mg), consentendo al medico una migliore definizione della terapia in base alle esigenze del paziente”, conclude l’esperto.

Aids: A Brescia prima sperimentazione su vaccino terapeutico.

Parte da Brescia la sperimentazione clinica sull’uomo del primo vaccino terapeutico in Italia contro l’Aids.

(Agi) L’AT20 – questo il nome del probabile vaccino – e’ frutto di uno studio ventennale condotto da un’equipe di ricercatori della cattedra di Microbilogia dell’Universita’ di Brescia, diretta dal prof. Arnaldo Caruso, che nell’ambito del progetto “Imana” ha individuato una nuova molecola la quale permetterebbe di abbattere drasticamente la proliferazione del virus. Il vaccino sara’ testato, a partire da settembre, su un campione di 60 persone sieropositive in quattro centri italiani: Brescia, Milano, Torino e Perugia.

La prima fase della sperimentazione, volta a misurarne l’innocuita’, dovrebbe durare sei mesi, nel corso dei quali ai pazienti saranno inoculate fino a 5 dosi vaccinali.

Successivamente si passera’ a una seconda e terza fase – per cui si devono ancora reperire le risorse finanziarie – per valutare la reale efficacia dell’AT20, anche su ceppi del virus dell’HIV diffusi in altri Paesi del mondo.

“La strada intrapresa dai bresciani e’ una novita’ – ha spiegato oggi il prof. Caruso a una conferenza stampa a margine di un convegno promosso dalla facolta’ di Medicina, ‘Nuove strategie preventive e terapeutiche anti-Aids’ -. Finora si era lavorato piu’ sul fronte della prevenzione che pero’, paradossalmente, come hanno dimostrato molti tentativi americani, spesso possono incrementare i rischi. Il vaccino terapeutico ha come obiettivo quello di fare invece convivere il paziente con il virus, ripristinando una condizione clinica di portatore sano. L’idea e’ concepire in futuro un sistema di cura intermittente con le terapie antiretroviarali, cosi’ da alleggerire il malato dalla somministrazione continua di farmaci”.

Il vaccino svolgerebbe la propria azione arginante del virus mediante il blocco dell’attivita’ biologica di una proteina, la P17, che rilascia cellule infette e non viene riconosciuta dai normali anticorpi. Il progetto “Imana”, che ha ricevuto il placet dell’Istituto superiore di Sanita’, si affianca a un’altra sperimentazione vaccinale in corso, a cura della dottoressa Barbara Ensoli, sviluppato pero’ su un versante preventivo e terapeutico insieme. “Lo studio bresciano ha raggiunto un risultato importante – ha commentato il presidente dell’ISS, Enrico Garaci – che cosi’ si affianca alla sperimentazione avviata da noi (quello della dott.ssa Ersoli) creando una proficua alleanza. In Italia si fanno ancora pochi trial clinici, tanto che le fasi uno e due delle sperimentazioni vaccinali avvengono spesso all’estero.

L’Istituto superiore di Sanita’ coordina un progetto di ricerca in cui sono coinvolti otto Stati”.

Infibulazione: Il sesso negato ha 20.000 vittime in Italia.

(Fausta Maria Rigo – Fragmenta) Una cosa di cui pochissimi parlano, proprio perché in genere non se ne sa molto, è l’infibulazione. Tendiamo ad immaginarlo come un problema lontano, assolutamente rimosso dalla nostra realtà. Non è affatto così, in Italia ci sono più di ventimila donne infibulate, questo stando ai numeri ufficiali. Inoltre ci sono molte comunità che la praticano quotidianamente. Il dato sconcertante è che spesso sono proprio le donne a chiederla per non sentirsi indegne o diverse. A Roma c’è un centro che si occupa di questo, è molto conosciuto e si trova all’interno dell’ospedale San Camillo. Ho parlato con la Dottoressa Giovanna Scassellati, che opera in questo e in altri campi come ginecologa. La Dott.ssa Scassellati è molto famosa anche per le sue battaglie a favore della Legge 194 come per le sue infuocate interviste. Le sue risposte, in questo caso, mi hanno lasciata a dir poco stupita, è vero ne sapevo veramente poco.

Mi può spiegare quanti tipi di infibulazione ci sono?
Ci sono quattro tipi di infibulazione, veramente ce ne sono anche di più, in alcuni casi, invece delle incisioni, si usano sostanze come corrosivi. Comunque quando noi parliamo di infibulazione intendiamo il grado tre. Il primo grado che si chiama sunna consiste nella asportazione del clitoride, il grado due si asportano anche le piccole labbra, nel grado tre si asportano piccole e grandi labbra chiudendo tutto. Queste ultime pratiche hanno degli effetti particolarmente negativi perché prevedono l’asportazione di porzioni dove normalmente risiedono ghiandole come quelle di Bartolini. Il tessuto rimane di tipo cicatriziale. L’infibulazione viene praticata da ostetriche o donne anziane dei villaggi. Il problema è che nei villaggi c’è una vera tradizione, le donne non infibulate vengono discriminate.

A che età viene fatta di solito?
L’età cambia in continuazione, diciamo che oramai è una pratica vietata dalle grandi organizzazioni mondiali, quindi in questi paesi lo fanno clandestinamente. Però è una cosa che le donne sanno di dover fare. Una ragazza non infibulata non trova marito, nessuno la vuole, perché la credenza che la donna debba essere infibulata è radicata nei secoli.

Quali sono i problemi più gravi causati dall’infibulazione?
Nel caso del livello tre, la donna è cucita quasi completamente, quindi soffre di grandi disturbi per il trattenimento delle mestruazioni. Inoltre sono frequentissime le infezioni urinarie, possono avere cisti, cheloidi cicatriziali.

Scusi se la interrompo: abbiamo capito che l’infibulazione è la negazione del piacere, ma come fanno, se sono completamente cucite a generare dei figli?
Questo è un problema successivo. Da ragazzine loro devono essere infibulate altrimenti vengono considerate impure. Uno dei motivi si pensa che risalga al tempo in cui la maggior parte delle tribù viveva nuda. L’infibulazione era considerata igienica per le donne. Dava loro la possibilità di non preoccuparsi della sporcizia che poteva entrare, la terra, o la sabbia del deserto ad esempio, è chiaro che questa è un’idea errata, sappiamo benissimo che la vagina è chiusa naturalmente, non ha alcun bisogno di essere cucita. In verità dietro a tutto questo c’è un’idea radicata di controllo della sessualità e della donna come proprietà dell’uomo. Durante i saccheggi che avvengono tra le tribù, avere delle donne infibulate assicura che queste non vengano violentate e che successivamente non generino figli di altri.

Ecco, come fanno queste donne a partorire?
In Italia noi medici abbiamo cominciato ad avere pazienti infibulate attorno agli anni Ottanta. All’inizio le facevamo partorire col parto Cesareo. Poi abbiamo cominciato a chiederci se ci fosse un altro modo: avevamo paura che queste donne, magari tornando in Africa potessero avere difficoltà con i secondi parti, così come può succedere a quelle che hanno subito parti Cesarei. Nei loro paesi si deve essere in grado di partorire più che altro naturalmente dato che di ospedali ce ne sono pochissimi. Tenendo conto che in media gli africani fanno dai cinque ai nove figli. Da qui l’esigenza di trovare una soluzione per fare partorire queste donne nel modo più naturale possibile.

Come è iniziata la sua ricerca in questo campo?
Ho fatto una ricerca su tutto quello che si era fatto, prima in Italia e poi ho cominciato a leggere i testi stranieri. In particolare, ho trovato del materiale interessante su degli studi fatti dal dottor Gordon di Londra. Sono partita e sono andata a verificare di persona. In effetti questo dottore, in un ospedale di Londra, è stato uno dei primi ad accogliere e studiare i casi delle donne infibulate in modo da poterle aiutare. In Inghilterra l’emigrazione africana è iniziata da molti anni e comunque, prima di questa, c’erano le colonie britanniche, quindi questo problema è sentito da tempo. La tesi del dottor Gordon era che a queste donne andava insegnata una modalità di iniziazione differente dall’infibulazione.

Vuole dire che Gordon tentava di sostituire l’infibulazione con una pratica meno truculenta?
Esatto. Il problema è che non era per niente facile. L’idea della menomazione è molto radicata, è sentita in maniera molto forte. Non sarà per niente facile che si smetta totalmente di praticarla. Ricordo che ad un congresso, una donna rivendicò con vigore il diritto a continuare questa pratica su chi la volesse. Disse che lei andava fiera di essere infibulata perché lo era sua madre e sua nonna prima di lei. Per alcune di queste donne riconoscere quanto questa cosa sia sbagliata equivarrebbe ad accettare che la propria madre ha agito male nei loro confronti. Non è facile accettare che tua madre ti abbia fatto consapevolmente una cosa sbagliata, preferiscono negare la realtà. Il cammino è lungo, la maggior parte delle donne africane non conosce la anatomia vera di una vagina, non sanno come sarebbe se non fossero state mutilate. Perché questa cosa viene fatta loro quando sono bambine. Inoltre un altro problema sono gli errori. Questi che praticano l’infibulazione, operano con strumenti di fortuna, lamette sporche ad esempio, che oltre a portare infezioni possono sfuggire di mano e fare un disastro. E infatti questo succede, i risultati sono devastanti quando non sopraggiunge addirittura la morte. Il clitoride è irrorato da un’arteria che si chiama appunto clitoridea. Se questa arteria viene incisa è difficile fermare il flusso, si muore dissanguati. E i casi purtroppo sono tanti.

Nei Paesi occidentali ovviamente questa pratica è vietata, secondo lei c’è gente che infibula clandestinamente?
Guardi, non lo so. Noi non ne abbiamo idea anche se sospettiamo di sì, ovviamente negli ospedali pubblici c’è un controllo massiccio, però chissà cosa succede in alcuni studi privati. Sicuramente ci sono molte comunità che spingono perché questa cosa venga accettata in Italia. Mi pare che a Firenze un ginecologo somalo avesse proposto di sostituire questo rito con una iniziazione fatta con una iniezione di liquido fisiologico. Per me è una totale sciocchezza, una cosa comunque inaccettabile.

Ci sono donne infibulate che chiedono di essere operate per tornare ad una normale funzionalità del loro corpo?
Certo, soprattutto quelle che, essendo completamente cucite, non riescono ad avere nessun rapporto. Un po’ di tempo fa ho avuto una paziente che era addirittura una dottoressa. Ultimamente le mie pazienti, anche essendo chiuse, hanno ancora il clitoride, evidentemente si tende a non menomarle completamente, ma forse è soltanto perché, come le ho detto, è molto rischioso asportare il clitoride non essendo medici e non avendo attrezzature adatte. Quello che nessun medico italiano fa, è richiuderle dopo i parti, sono moltissime le donne africane che lo chiedono. Noi non possiamo, né vogliamo farlo, eppure non è facile convincerle di quanto sia dannoso.
Tra l’altro, le donne infibulate dovrebbero essere aperte molto prima del parto, diciamo alcuni mesi prima, per evitare una infinità di problemi legati anche al cambiamento di dimensioni dell’utero, oltre a quelli di una ferita aperta così grande. Sarebbe meglio partorire con la ferita già rimarginata. Noi consigliamo sempre loro di operarsi prima, ma solo di rado lo fanno, e così rischiano anche la vita
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Quindi questo è un problema profondamente culturale.
Esatto, calcoli che i dati ufficiali parlano di diciannovemila donne in questo stato in Italia, invece i numeri sono di gran lunga più alti. Il problema non è affatto da sottovalutare. Per adesso Roma e Firenze hanno dei centri che si occupano, prima di tutto, di informare queste donne e di aiutarle a decidere come vivere soprattutto la gravidanza. Quello che dico è che ce ne dovrebbero essere molti di più, come minimo in ogni regione italiana, come avviene negli altri Paesi. Noi abbiamo, oltre ai ginecologi, psicologi e assistenti sociali che lavorano con noi.

Il cappottino per il pene? Si, per solidarietà.

(Antiblogger) La sensibilità verso chi passa le pene dell’inferno (è proprio il caso di dirlo!) a causa dei malanni che affliggono il suo pene può far aguzzare l’ingegno. Come non ammirare la genuina trovata di tale Shannon Gerard, audace bloggatrice canadese, la quale, per una giusta causa, ha deciso di mettersi sotto con i ferri, sfornando questi curiosi “arnesi”. Ovviamente questi falli tanto carucci e morbidosi non sono stati creati per essere utilizzati come delle protesi, o per farne usi che Ruini non approverebbe, ma per venire indossati ai party di compleanno e soprattutto per finanziare la lotta contro i tumori. Per ogni pene venduto pare che vengano devoluti 5 dollari alla ricerca contro il cancro ai testicoli.

Per par condicio, Shannon ha pensato anche a noi femminucce, ahimè, scarsamente dotate di airbag sostitutivi, creandone degli appositi (i peni sono molto più belli però, diciamocelo). Un’ottima e sana alternativa alla chirurgia plastica che potrebbe entusiasmare perfino le nostre nonne, accendendo la loro fantasia creativa (dite la verità, un bel penone in regalo al posto del solito centrino o maglione non vi piacerebbe?)

Sesso: priapismo non ha piu’ segreti, svelata causa di erezione perenne.

(Adnkronos Salute) Il priapismo, il disturbo che si manifesta nell’uomo con un’erezione perenne, non ha più segreti. Ne sono convinti i ricercatori della scuola di medicina dell’università del Texas, sicuri di averne svelato i meccanismi biochimici. Un bel sollievo per chi soffre di questo disturbo che, oltre a essere fastidioso e imbarazzante, può provocare seri danni alla salute, tra cui disfunzioni erettili permanenti o anche gangrena. Proprio lì. L’erezione del pene, nei pazienti con priapismo, è indipendente dall’eccitazione. “All’origine del disturbo – spiegano gli scienziati sul Journal of Clinical Investigation – ci sono i livelli troppo alti di adenosina, una sostanza chimica che regola la ditatazione dei vasi sanguigni. E che dunque fa aumentare l’afflusso di sangue nei corpi cavernosi del pene determinandone l’erezione”.

Una tesi che per prima cosa è stata passata al vaglio dei test di laboratorio condotti su alcuni topi ‘Ogm’, creati appositamente per non avere un enzima in grado di contrastare l’adenosina. Con la sostanza chimica a livelli alti nell’organismo, anche gli animali sperimentavano il priapismo. Almeno fino a che i ricercatori non hanno somministrato loro un altra molecola, il polietilene glicole, che riduce ma non elimina l’adenosina. “Una scoperta con implicazioni cliniche di enorme importanza”, enfatizzano gli scienziati convinti di riuscire ora a mettere a punto una terapia in grado di contrastare i livelli della sostanza alla base del priapismo. Anche se, aggiungono, “altri studi saranno necessari per capire se il meccanismo biochimico dell’adenosina è la causa della forma molto più rara di priapismo femminile, che colpisce le donne con un perenne rigonfiamento del clitoride”.

In ogni caso, annunciano, “i test su uomini affetti dal disordine dovrebbero iniziare entro la fine di quest’anno”. La notizia potrebbe cambiare la vita di molti pazienti, tra cui il 40% dei malati di talassemia e anemia falciforme che sperimenta i sintomi del priapismo. E a riprova di questo, gli scienziati rivelano gli analoghi risultati raggiunti su topi di laboratorio con anemia falciforme.

In vendita le pasticche per dare sapore di mela allo sperma. E riducono il colesterolo…

Risultato garantito in massimo 4 settimane. C’è anche la variante femminile agli agrumi. Il prodotto, in 60 capsule, è un integratore dietetico naturale che riduce il colesterolo.

(Rotocalco.tio.ch) Che la mela sia il frutto del peccato è risaputo da migliaia di anni. Cosa che deve essere piaciuta molto all’inventore di ‘Sweet release’, barattolino con 60 capsule in vendita su ShyToBuy.com che promettono in massimo quattro settimane di modificare odore e sapore del liquido seminale maschile, facendolo assomigliare a quello di mela verde.

Anche se sul portale dove si possono acquistare le capsule si legge che il prodotto è dedicato a tutti quelli “che vogliono migliorare la pratica del sesso orale e sorprendere il partner con una nuova fantastica esperienza”, in realtà ‘Sweet release’ è più pubblicizzato come un integratore dietetico completamente naturale che aiuta il sistema immunodifensivo e riduce il colesterolo grazie al componente principale contenuto al suo interno, il Crandextrim, e alla presenza degli acidi Omega 3 e Omega 6.

Su ‘ShyToBuy.com’ è in vendita anche la variante femminile agli agrumi, che promette sapori e odori migliori delle parti intime “per evitare spiacevoli imbarazzi”. Probabilmente, se fosse esistito l’eCommerce ai tempi dell’Eden, a quest’ora vivremmo tutti in Paradiso.