Che – Guevara: Il comandante che sparava agli omosessuali.

(www.granma.cu) Una foto scattata da Alberto Korda e riprodotta nel corso degli anni su milioni di magliette, poster e oggetti kitsch, ha contribuito al fatto che la figura di Ernesto Che Guevara, a 40 anni dalla morte, continui a vivere tra le nuove generazioni.

Quell’immagine, intitolata Guerrillero Heroico, fu scattata nel 1960 da Korda, alias Alberto Diaz Gutierrez, divenuto fotografo personale di Fidel Castro dopo aver lavorato nel mondo della moda. Korda scattò due foto mentre Guevara saliva sul podio durante il funerale di 140 cubani uccisi da un’esplosione. Il comandante si trovava tra un uomo e delle foglie di palma, ma Korda, impressionato dall’intensità dell’espressione del Che, decise di isolarne il volto “encabronado y dolente” (corrucciato e triste) e nacque quel primo piano, destinato a diventare un’icona. Praticamente sconosciuta prima di essere riprodotta in Italia in occasione della morte di Guevara, l’immagine divenne rapidamente in tutto il mondo il simbolo della rivolta studentesca del ’68. Comparve su poster, magliette, murales e fu usata in una miriade di dimostrazioni negli anni che seguirono.

Ma è anche vero che da allora l’immagine di Korda vive di luce propria e se continua a rappresentare in America Latina, Medio Oriente e Asia lo spirito rivoluzionario e indomito contro oppressione e tirannia, resta un fenomeno contemporaneo, entrato di prepotenza nel mondo della cultura popolare, della moda, delle celebrità.

A questa foto la Triennale Bovisa di Milano ha dedicato una mostra nei mesi scorsi, “The Legacy of Korda Portrait”, con l’intento di spiegare perchè lo scatto di Korda continua ad essere, a distanza di quasi 50 anni, il simbolo della rivoluzione e della contestazione giovanile. In copertina per l’album American Life di Madonna o nell’opera di Pedro Meyer American Five Dollar Bill (in cui il viso di Abraham Lincoln è sostituito da quello del Che), l’immagine di Guevara continua ad avere una natura sia populista che controculturale. Anche oggi che è oggetto di caricature e parodie, è al tempo stesso utilizzata come grido di protesta politica da parte dei movimenti più disparati, che si battono per la cancellazione del debito, per l’anti-americanismo, per l’identità latino-americana, per i diritti degli omosessuali e delle popolazioni indigene.
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Le pazze e il Che
di Zoe Valdes*
I miei migliori amici sono omosessuali. Anche mio fratello e mia sorella lo sono. Senza dubbio, non dovrei iniziare questo articolo chiarendo la mia posizione se criticare certe idee frivole o posture ideologiche dei gay non fosse considerato politicamente scorretto. Durante le ultime vacanze estive, ho incontrato molti ragazzi con magliette che mostravano la famosa immagine del Che del fotografo cubano Corda (anche se si dice che i diritti d’autore vengono riscossi dalla dittatura castrista da chissà quanto tempo). Mi sono avvicinata ai ragazzi e ho potuto constatare dalle loro conversazioni e dal loro modo di muoversi che nelle loro anime albergava la “bayamesa”, uno dei tanti modi poetici che usiamo noi cubani per descrivere le caratteristiche effeminate degli uomini. Vivo nel Marais, quartiere parigino bohemienne nel quale abita una buona parte della comunità omosessuale, maschile per la maggioranza, dove c’è un grande fiorire di boutiques dedicate a questo genere. Intellettuali borghesi, negozianti ebrei, librai e commercianti culinari si spaventano per l’invasione di negozi cinesi, traiteurs asiatici e locali notturni per omosessuali.

Amo il mio quartiere per la sua amalgama di generi, ma non posso sopportare la troppa frequenza di magliette con l’immagine del Che, che invadono le vetrine dei negozi di abbigliamento per “mariposas” (altra licenza poetica per indicare i gay). Il Che in tutti i colori e a prezzi esorbitanti. All’inizio dell’anno ho organizzato un’esposizione di disegni erotici del mio amico Ramón Unzueta, pittore cubano, in una delle mie librerie preferite, Les Mots à la Bouche. Alcuni mesi dopo, sempre nello stesso posto, firmavo esemplari del mio romanzo “Lobas de mar” tradotto in francese. Mi sono affezionata molto al libraio, Walter Alluch. E’ un uomo alto, attento, servizievole, che quando mi consiglia un libro colpisce sempre nel segno. E’ stato il caso di “La mauvaise vie” di Fréderic Mitterrand, autore che ammiro da quando faceva quei meravigliosi programmi sul cinema francese alla televisione. L’autobiografia di Fréderic Mitterrand è un gioiello letterario e umano e, visto che mi ha intervistato alcune volte, abbiamo potuto conversare su Cuba.

Il suo punto di vista sulla dittatura è chiarissimo. Mi affascina rimanere rincantucciata in un angolo della libreria e guardare i film e gli album erotici. Mi sono sorpresa quando, curiosando tra i dvd, mi sono imbattuta in un film porno girato a Cuba, sulla cui copertina sorrideva un giovane cubano, nudo dalla cintura in giù, che mostrava le sue parti intime (e che parti)! Aveva il busto coperto, non poteva essere altrimenti, da una maglietta con la figura del guerrigliero su sfondo nero. Mi sono detta: “Eccolo là, l’uomo nuovo!” Oggi ho incontrato una giovane “checca” asiatica, mani sui fianchi, dimenarsi di anche e occhiolino languido. Ovviamente portava una maglietta “chea”, che a Cuba vuol dire ridicola. Non ho potuto contenermi, le ho chiesto se sapeva chi era il Che. Ha sorriso timidamente senza rispondermi. Arrivata a casa ho chiamato un amico omosessuale. Mi ha spiegato che questa euforia “culattona” (parola sua!) per il che deriva dal film di Walter Salles. Nel maggio del 2004 si proiettava al festival di Cannes “I diari della motocicletta”, il cui tema è il viaggio e la scoperta personale del continente latinoamericano di due giovani a bordo di una vecchia moto, Ernesto Guevara, 23 anni, studente di medicina, e Alberto Granado, 29 anni, biochimico. Il mio amico mi spiega che un numero rilevanti di omosessuali hanno dedotto che il Che era una “checca” perché nel film era interpretato da Gael García Bernal, che nello stesso periodo interpretava la parte dell’omosessuale nel film di Almodovar “La mala educaciòn”.

La contraddizione è lampante. Il guerrigliero argentino odiava gli omosessuali e li ha perseguitati in ogni modo possibile a Cuba e ora è diventato, dopo essere stato l’eroe del maggio francese, il martire dell’orgoglio gay. Curioso. Il personaggio più omofobico che hanno partorito le rivoluzioni del Novecento ha finito per essere adorato da questo pubblico consumatore di fanatismi di sinistra. Propongo un esempio apparso su “El Nuevo Herald digital” il 28 dicembre 1997, che ci spiega come assassinava il Che. Il suo autore è Pierre San Martin. “Erano gli ultimi giorni del 1959. In quella cella fredda e scura sedici prigionieri dormivano per terra e noi altri sedici rimanevamo in piedi per permettere loro di sdraiarsi, ma questo non ci preoccupava, l’unico nostro pensiero era che eravamo vivi e questo era l’importante. Vivevamo ora per ora, minuto per minuto, secondo per secondo senza sapere cosa sarebbe successo l’attimo seguente.

Un’ora prima del cambio della guardia sentimmo la porta di ferro aprirsi e lanciarono una persona nella già affollata cella. Con l’oscurità non potemmo renderci conto che era un ragazzino di dodici, massimo quattordici anni. – E tu perché sei qui?- chiedemmo quasi all’unisono. – Perché ho provato a difendere mio pare, ma l’hanno fucilato ugualmente, quei figli di puttana.- ci rispose, guardandoci con la faccia ferita e insanguinata. Ci guardammo per cercare una risposta consolatrice per il ragazzo, ma non la trovammo. Avevamo già tanti problemi… Erano già due o tre giorni che non si fucilava e cominciavamo a sperare che quell’incubo fosse finito. Le fucilazioni sono impietose, ti tolgono la vita quando più la necessiti per te e per i tuoi cari, senza ascoltare i tuoi desideri di vita. La nostra allegria durò poco. La porta si aprì di nuovo e chiamarono dieci di noi, compreso il ragazzo. Non li avremmo più rivisti. Come si poteva togliere la vita a un ragazzino in quella maniera? O forse ci sbagliavamo, forse stavano per liberarci? Vicino al muro dove si fucilava, con le mani sui fianchi, camminava l’abominevole Che Guevara. Diede l’ordine di portare per primo il ragazzo e gli ordinò di inginocchiarsi.

Tutti gli gridammo di non fare quel crimine e ci offrimmo al posto del condannato. Il ragazzo disubbidì, con un coraggio indescrivibile rispose all’infame figuro: – Se mi devi uccidere devi farlo come si fa con gli uomini, in piedi, e non in ginocchio come i vigliacchi. Andandogli dietro, il Che ribatté: – Vedo che sei un giovane valoroso… Sfoderò la pistola e gli sparò un colpo alla nuca che quasi gli tagliò il collo. Tutti gridammo: “Assassini, vigliacchi, miserabili” e molto altro. Si girò verso la finestrella da cui provenivano le grida e svuotò il caricatore. Non so quanti ne uccise e ferì. Ci rendemmo conto di questo incubo, dal quale non potremo mai svegliarci, dopo un po’, nell’ospedale Calixto García, dove ci avevano portati feriti. Capimmo dopo non so quanto tempo che la nostra unica salvezza era la fuga, la nostra unica speranza di sopravvivere”.

Cito integralmente questa testimonianza perché la comunità gay, con la quale mi identifico e con la quale solidarizzo, si renda conto che esibire l’immagine del Che come moda costituisce un insulto per molte delle sue vittime, fra le quali grandi scrittori gay cubani, per esempio Virgilio Piñeira e Reinaldo Arenas. Senza contare i bambini che sono cresciuti traumatizzati dalla famosa frase: “Saremo come il Che”. Vale a dire, guerriglieri e terroristi.
A bientôt,

* scrittrice cubana esiliata a Parigi.

Le "pettinatrici" di GayLib.

Riceviamo e pubblichiamo.
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Gentili redattori,
innanzi tutto i complimenti per il blog, fatto veramente bene, sciccosissimo, ben curato, con molte notizie, bravi.
E anche stavolta ci avete beccati sti culattoni di destra, invece che partecipare alla presentazione di un libro dove si parla di Gaylib, se ne stanno nelle loro casine, non casini, in quelli ci andiamo solo la sera, a far che ?
Poi presentazione di un libro, di chi ? su cosa ? noi partecipiamo solo quando ci invita la Zanicchi, l’ultimo suo di ricette e’ divino.

Io mi stavo divertendo spolverando le statuine in ceramica delle mie icone gay preferite ascoltando le canzoni baraccone della Carra’, il presidente, pardon Dittatore Sua Eccellenza, Oliari Gran Visir Enrico stava percuotendo schiavi al grido ” Meglio froci e fascisti che etero e comunisti “, il nostro Vice Presidente. pardon Vice Dittatore, Daniele Priori, delfino servile e servizievole del capo, il piu’ intellettuale del gruppo stava leggendo i libri di Bon Ton di Sora Lella.

No oggi comunicati stampa no, del resto non e’ successo nulla di nuovo, nessun nuovo disco della Carra’ e nemmeno film del divino Ozpeteck.
Gia’ i nostro comunicati stampa, nessuno che se li fila, li manderemo sempre a voi, cosi’ almeno una decina di persone al giorno li leggeranno.
Grazie di esistere
Luca Maggioni
coordinatore Gaylib Lombardia

ps. se dovete pubblicare anche la mia foto, contattate Corona ne ha alcune mie bellissime, non avendo idee sopperisco con la bellezza, ma del resto questo voi lo sapete bene.

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Caro Maggioni,

è del tutto inutile scomodare Fabrizio Corona, la sua foto c’è, è pubblica, la si trova con grande facilità sul sito di GayLib. Una precisazione: in redazione non siamo soliti scheccare come lei abbondantemente fa in questa nota. Scheccare è segno del passato, del bel tempo che fu. Tra l’altro questo suo modo di fare, a parer nostro nuoce alla visibilità dei gay.
Ne prenda nota.

Eppoi perchè scaldarsi tanto? Per quel che ci riguarda noi, lo ammettiamo, in modo polemico, abbiamo chiesto il perchè della vostra assenza (quella di GayLib, ovviamente) a questo dibattito.
Non ha risposto. L’avremo mai una risposta?,

Probabilmente non ne eravate al corrente, ecco perchè si scalda tanto. Le risulta insopportabile sapere che si parla della vostra materia e scoprire di non essere neppure stato invitato, anzi, diremo di più, interpellato.
Segno che alla fine il movimento gay che si riconosce nella sinistra neppure vi prende in considerazione e vi lascia beatamente a scrivere inutili comunicati e proclami, (che tra l’altro non pubblichiamo perchè non riceviamo) e a pettinar le bambole. Tra l’altro credo che lei debba essere un “pettinatore” fantastico visto la sua indole da “sciampista un poco isterica”.

Per la Redazione
Federico Salviati

American Gladiators, il ‘nuovo’ show della NBC.

Grandi manovre in casa NBC: la rete sta infatti perfezionando gli ultimi dettagli che consentiranno la messa in onda del remake di “American Gladiators”, programma che fu di grande successo negli anni ‘90.

A condurre il programma sarà Hulk Hogan, star del wrestling professionista per oltre vent’anni e non nuovo alle apparizioni sul piccolo e grande schermo: “Hulk Hogan è un’icona americana, per oltre 20 anni è stato simbolo di forza: la sua personalità elettrizzante ricorda quella di Ercole, e non c’è miglior presentatore per il nostro programma”, ha detto Craig Plestis, vice presidente della NBC. American Gladiators, andato in onda dal 1989 al 1997, prevede un cast fisso di atleti non famosi impegnati a sfidare le star (i gladiatori professionisti), che scenderanno in campo a rotazione, in una serie di prove di combattimento e abilità. Secondo le intenzioni della NBC, nel ‘nuovo’ programma, che dovrebbe partire nei primi mesi del 2008, ci saranno 8 gladiatori, quattro uomini e quattro donne: se mai il nuovo programma non dovesse piacere, i fan possono comunque consolarsi con le repliche trasmesse sette giorni su sette dal canale ESPN Classic.

Teatro, Rutelli incontra Franca Valeri.

In scena alcuni dei più famosi sketch.
L’attrice domani al Teatro Valle di Roma celebrerà i 60 anni di carriera. Il ministro dei Beni Culturali: ”Una pagina meravigliosa della cultura italiana”.

(Adnkronos/ Adnkronos Cultura) – ”Una pagina meravigliosa della cultura italiana”, così il ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli ha definito i sessanta anni di carriera dell’attrice Franca Valeri che ha incontrato stamane, prima del grande debutto. Infatti, proprio domani ricorreranno sessanta anni da quando la grande attrice ha debuttato sulle scene con lo pseudonimo con cui è nota al grande pubblico.

Domani sera la compagnia ‘Società per attori’ metterà in scena al Teatro Valle ‘I 60 anni di Franca Valeri’, spettacolo allestito per l’occasione e che ripropone alcuni dei più famosi sketch come ‘La storia di un nome’, lettura di Patrizia Zappa Mulas; ‘La signorina snob’, ‘Cesira la manicure’, ‘La signora Cecioni’, ‘Cecità di mamma’ e ‘Meno storie’. Chiuderà la serata ‘Le catacombe’, la prima commedia scritta da Franca Valeri, che sarà accompagnata sulla scena da Patrizia Zappa Mulas, Pino Strabioli, Urbano Barberini e Viviana Broglio.

”Una cifra tonda per una serata che penso sarà memorabile” ha commentato il ministro, evidenziando come quello di domani sera sia il ”giusto tributo a una donna che non smette di innovare, pur rimanendo coerente con il linguaggio classico del palcoscenico”. Rutelli, inoltre, l’ha definita, una delle ”pochissime protagoniste del teatro ad essersi imposta tra le persone colte come tra il pubblico popolare”.

”Una serata che faccio con spontaneità, sono sempre felice quando mi propongono di recitare” ha detto la Valeri, visibilmente commossa quando, durante il colloquio con il ministro, sono stati evocati i ricordi di Sordi e Manfrediche li ha definiti ”Magnifici compagni di viaggio”.

”Il Valle è un teatro al quale sono particolarmente legata -ha raccontato la Valeri- perché vi debuttai e perché lì ho recitato in numerosissimi spettacoli, compresa la mia primissima parte da protagonista. Peccato che per il tipo di programmazione scelta -ha aggiunto – non ci sia più spazio per me”.

Non una scelta, ma una ”necessità editoriale” ha detto Giuseppe Ferrazza, presidente dell’Eti, l’Ente Teatrale Italiano che è proprietario del teatro. ”Mi auguro che, grazie anche ai nuovi indirizzi che verranno dal ministro -ha aggiunto- al Valle si dedicherà più spazio alla drammaturgia italiana”.

Benedetto fa 500 santi tra franchisti e fascisti.

Quasi 500 nuovi martiri spagnoli per la beatificazione più numerosa della storia: Il 28 ottobre prossimo, in piazza San Pietro.

(Zenit.org) Il 28 ottobre prossimo, la Chiesa celebrerà la beatificazione più numerosa della storia elevando alla gloria degli altari quasi cinquecento martiri della persecuzione religiosa che ha avuto luogo in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso.

Lo ha affermato venerdì pomeriggio padre Juan Antonio Martínez Camino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Spagnola, in un atto accademico tenutosi in vista di questa beatificazione nell’Aula Magna del Pontificio Istituto Agostiniano, situato nei pressi del Vaticano.

Il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, presiederà quel giorno, in piazza San Pietro in Vaticano, la beatificazione dei 498 martiri del XX secolo in Spagna.

“Non erano mai stati beatificati tanti servi di Dio in un’unica cerimonia – ha spiegato il portavoce della Conferenza Episcopale –: è la più numerosa della storia”.

“Dal punto di vista organizzativo, è la prima volta che varie e numerose cause (23), iniziate e portate avanti dalle rispettive postulazioni, sono accolte al servizio offerto dall’Ufficio per le Cause dei Santi, creato dalla Conferenza Episcopale Spagnola, in dialogo con la Congregazione per le Cause dei Santi, per incoraggiare, accompagnare e coordinare il lavoro delle parti, rispettando sempre le competenze di queste ultime”.

“Dal punto di vista pastorale – ha aggiunto –, praticamente tutte le diocesi spagnole, per ragioni di nascita, vita apostolica o martirio dei nuovi beati, si vedono beneficiate da questa grande festa della fede e della santità”.

Il Segretario della Conferenza Episcopale ha spiegato che “una beatificazione così numerosa non è stata preparata per coltivare alcuna megalomania. La cerimonia e la festa saranno grandi perché grande è la pagina della storia della Chiesa in Spagna che in esse si riflette”.

“Sono molti i casi di martirio già riconosciuti dalla Chiesa per questo periodo degli anni Trenta del secolo scorso – ha rivelato –. Con questi nuovi beati si avvicinano già ai mille (per l’esattezza 977, tra cui 11 santi)”.

“E sono molti i casi suscettibili di essere riconosciuti in futuro – ha proseguito padre Martínez Camino –. Di circa 2.000 sono già avviati i processi. Ed è prevedibile che si continuino a proporre molti altri casi fino ad avvicinarsi, forse, alla decina di migliaia”.

“La persecuzione religiosa degli anni Trenta del XX secolo ha caratteristiche proprie in Spagna, ma non è un caso isolato né originale spagnolo. Si inserisce nella grande persecuzione subita dai cristiani di tutte le confessioni nel XX secolo nel mondo e, in particolare, in Europa”, ha chiarito.

“La Chiesa non cerca colpevoli quando beatifica i suoi martiri. Cerca solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Cerca di promuovere la causa di Gesù Cristo, che è la causa dell’essere umano”.

All’atto accademico è intervenuto monsignor Vicente Cárcel Ortí, studioso della Storia della Chiesa in Spagna, che ha spiegato come la persecuzione religiosa degli anni 1934 e 1936-39 sia stata l’aspetto più negativo della Seconda Repubblica Spagnola. Una pagina buia della storia che si è voluto occultare mescolandolo, confondendolo o giustificandolo con la Guerra Civile, quando in realtà è iniziato due anni prima.

Papa Pio XI, nell’enciclica “Dilectissima nobis” (3 giugno 1933), denunciò davanti al mondo la situazione di autentica persecuzione religiosa che viveva la Chiesa in Spagna, ha ricordato lo storico.

“E’ stata la più grande conosciuta nella storia della Spagna, e forse in tutta la storia della Chiesa cattolica. Ci sono stati circa 10.000 martiri per motivi religiosi”, ha osservato.

Il maschio insospettabile, questo sconosciuto.

(Queerblog) Esiste un fenomeno di isteria di massa noto a tutti i frequentatori di chat, siti di annunci e simili. Si tratta della ricerca di una figura mitologica, sospesa tra realtà e fantasia: il tipo maschile insospettabile.

Che sia un archetipo derivato dai miti adolescenziali, dalla cultura machista o dall’immaginario collettivo, non ci è dato di sapere. Forse è un prodotto fittizio che unisce diversi modelli: c’è un po’ del padre del tuo migliore amico, un po’ del salumiere di fiducia, un po’ del professore di italiano e un po’ di Raoul Bova o Francesco Coco.

Sul web molti si definiscono – e quasi tutti cercano – tipi maschili insospettabili. Avendo difficoltà a trovarli nella realtà, speriamo (o ci illudiamo) di trovarli in rete, perché, si sa, il maschio insospettabile ama la discrezione e non frequenta locali. Poi, nell’incontro faccia a faccia, il più delle volte ci accorgiamo che il tipo di insospettabile ha solo un’obiettiva percezione di sé.

Ma, al di là di tutto, perché i gay inseguono sempre l’etero curioso, il maschietto non effeminato, il finocchio per il quale “non l’avresti mai detto”? Perché la “sospettabilità” è vista come un difetto? È solo l’apprezzamento di ciò che è raro, o c’è qualcosa di più?

Il lato rosa delle forze armate, in un film le Soldato Jane all’italiana.

(Panorama) Vita da caserma. Da donne in caserma. Condivisa, osservata e filmata da una donna regista. Il risultato è Io giuro – Appunti di donne soldato, documentario in due puntate da 50 minuti ciascuna girato da Maria Martinelli e che verrà trasmesso da RaiTre il 9 e 10 ottobre alle 23.40.

Il lavoro, prodotto da Giusi Santoro e Kamerafilm, continua il filone preferito dalla regista 49enne dei reportage senza filtri se non quello della videocamera. All’attivo Maria Martinelli ha documentari come I bambini non lo sanno, sul bullismo giovanile, Gladiatori, sul cinema hard italiano, e Carne da macello, sull’America dei fast food. Questa volta si è chiesta perché una donna sceglie di arruolarsi nell’esercito.

Per capire il lato rosa delle forze armate, o il lato combattivo dell’universo femminile, la scorsa Maria Martinelli ha vissuto, mangiato, marciato con le cinque ragazze, tra i 18 e i 25 anni, di una delle squadre del plotone della caserma di Ascoli Piceno. Dall’alba al tramonto ogni giorno, per tutte le dieci settimane del corso di addestramento. “Il mio intento”, spiega la regista, “è di raccontare come e cosa sia possibile aggiungere, partendo dall’essere donna, al ruolo di soldato e descrivere l’universo dell’esercito visto con gli occhi delle ragazze che decidono volontariamente di intraprendere questa strada, storicamente e tipicamente maschile”. Il documentario restituisce lo stupore di chi osserva con sguardo esterno il momento in cui queste donne attraversano il confine che la scelta comporta. “L’impatto con una nuova realtà, nuove regole, una vita mai vissuta. L’allenamento intenso, l’uso delle armi, l’obbedienza e il silenzio come atteggiamento psicologico sono scogli che producono una frattura: c’è chi abbandona e chi decide di continuare la propria vita nell’esercito”.

Ha deciso così Francesca Procacci, 23enne di Gubbio, capo plotone ad Ascoli e tra le protagoniste del documentario. “Sogno di portare una divisa da quando ero bambina”, dice, “per difendere e aiutare chi è più debole. Il corso di addestramento è stato un’esperienza unica, l’occasione giusta per completare la mia formazione. Certo, è stata dura. Sono passata da un giorno all’altro da ragazza come tante a militare e mi sono confrontata con una vita che non può essere nemmeno lontanamente paragonata a quella che facevo prima. Questo mi ha messo di fronte ai miei limiti, ma ha tirato fuori anche le mie capacità. E gli autori di Io giuro hanno colto tutto, niente è stato falsato. È stato un po’ come partecipare al Grande Fratello“.

Francesca ci scherza su, ma non ha dubbi sulle possibilità delle donne che intraprendono la carriera di soldato: “Proprio perché è un lavoro considerato adatto agli uomini noi tiriamo fuori la nostra caparbietà e la voglia di riuscire. Quelle come me ci credono davvero”. La sorpresa riservata da queste ragazze a chi le ha seguite passo a passo? “Le motivazioni”, risponde Maria Martinelli. “Non immaginavo di trovare donne così sicure della scelta fatta. Sono sempre stata convinta che arruolarsi sia una grande opportunità di lavoro, ma confrontandomi con loro ho scoperto che questo aspetto è secondario. Si sono arruolate per svolgere un lavoro di grande valore da un punto di vista umano e sociale”. Alla fine del filmato però le Soldato Jane di casa nostra tornano a essere donne come tutte le altre, a fare i conti con la difficoltà di essere, un giorno, anche mamme soldato.
Il Trailer:

Un Nobel imbarazzante, per il governo e per il Vaticano.

(Uaar) Un italiano, un americano e un britannico – tra straordinari «ingegneri del Dna» – sono stati insigniti a Stoccolma del Premio Nobel per la medicina.
Mario Renato Capecchi – che pur avendo studiato e lavorato a lungo negli Stati Uniti è nato a Verona nel 1937 – l’inglese Martin J. Evans e l’americano Oliver Smithies sono stati premiati per gli studi e le scoperte sulle cellule staminali embrionali. I loro studi hanno portato a realizzare una tecnica nota come «gene targeting», definita di «immensa importanza» nelle motivazioni addotte dal comitato scientifico del Karolinska Institute di Stoccolma, che attribuisce il prestigioso riconoscimento.
Capecchi si è diplomato in chimica e fisica all’Antioch College nel 1961 e ha maturato il Ph.D. in biofisica ad Harvard, nel 1967, con una tesi di dottorato in biologia molecolare, supervisionata dal premio Nobel James D. Watson, che verteva sull’analisi dei meccanismi di iniziazione e di terminazione della sintesi proteica.
La tecnica del «gene targeting», messa a punto dalla squadra formata dai tre scienziati (che hanno continuato a lavorare in tre laboratori distinti), ha consentito di ottenere i primi cambiamenti nel patrimonio genetico nei topi utilizzando cellule staminali embrionali. […]

Testo integrale su Corriere.it

Un uomo che per far ricerca ha dovuto studiare e vivere all’estero (ora è cittadino americano). Un uomo che per vincere il Nobel ha dovuto fare ricerca proprio sulle cellule staminali embrionali, argomento tabù per il Vaticano.

"Kings of Rome ospiti della trasmissione Comizi D’Amore".

In onda su Discovery Real Time di SKY con intervista esclusiva a Ivan il Terribile.

(Timeles) Dopo lo straordinario successo della prima edizione riprende il programma-inchiesta condotto dalla vulcanica Carola Silvestrelli. Il titolo del programma è un esplicito riferimento al celebre film-inchiesta di Pasolini, che nel 1963 percorse tutta la Penisola, dalle grandi città alle campagne, per realizzare un’inchiesta sicuramente insolita per l’epoca, sull’erotismo e sull’amore. Proprio da questa esperienza ormai storica, trae ispirazione la moderna versione televisiva di Comizi d’amore. Si torna a parlare di sesso, o meglio, di italiani e sesso, fra interviste, battute, stralci di vita quodiana…

La prima puntata ospiterà il raffinato corteggiatore dall’aria misteriosa, il Drag King Ivan il Terribile, amante delle donne e di viaggi esotici. Racconterà la sua storia senza veli e falsi moralismi, con una irresistibile punta di ironia, per parlare di sè e non prendersi troppo sul serio.
Ogni Martedì ore 23.00 Canale 118 Discovery Real Time di SKY. http://www.kingsofrome.com

Bad Boys: Il principe Harry lecca il capezzolo ad un amico.

(Queerblog) Una piccola parentesi di gossip.
Come forse ormai saprete, dato che la notizia ha già fatto il giro del mondo, il principe Harry, ovvero il figlio di Lady D più scapestrato e meno posato, è stato beccato un’altra volta durante uno dei suoi soliti festini con gli amici.
Stavolta le immagini pubblicate da News of the world lo ritraggono mentre sniffa cocaina, durante una vacanza in Namibia.
La notizia completa e le foto le trovate qui.
Ma, come potete vedere, la cosa che ci interessa è che si è lasciato andare anche a giochini omo leccando il capezzolo di uno degli amici.
Magari qualcuno la può trovare una cosa sexy… Anzi, ne siamo certi.